Intelligenza artificiale: il ruolo della follia
Quando pensiamo all’intelligenza, siamo portati a immaginarla come un atto di pura razionalità: capacità di calcolare, ragionare, trarre conclusioni logiche. Eppure, osservando la mente umana, ci accorgiamo che l’intelligenza non è mai stata soltanto ragione. Nell’essere umano convivono, spesso in tensione, due forze fondamentali: razionalità e follia.
La razionalità è ciò che ci permette di costruire ponti, risolvere equazioni, pianificare il futuro. È la parte ordinata della mente, che opera secondo regole e criteri di coerenza. La follia, invece, non va intesa solo come dissennatezza, ma come apertura all’imprevisto, capacità di vedere connessioni inusuali, di immaginare ciò che non esiste. È nella follia che nascono le intuizioni geniali, le rivoluzioni artistiche, le invenzioni che non potevano essere previste da nessun calcolo.
In altre parole, l’intelligenza umana è ibrida: vive della disciplina della ragione e della vitalità della follia.
Le macchine e il regno della razionalità
L’intelligenza artificiale, al contrario, nasce in un contesto dominato dalla logica pura. Un algoritmo è, per definizione, una sequenza ordinata di istruzioni. Un computer esegue ciò che gli viene detto, senza esitazioni, senza deviazioni, senza emozioni. Nel suo nucleo più profondo, una macchina conosce soltanto la razionalità: regole da applicare, funzioni da ottimizzare, risultati da restituire.
Questa purezza logica ha reso le macchine straordinariamente potenti in compiti specifici. Nessun essere umano può competere con un algoritmo nel calcolare miliardi di operazioni in un istante. Tuttavia, proprio questa forza racchiude un limite: l’eccesso di razionalità genera rigidità. Una macchina che segue ciecamente le regole non sa adattarsi, non sa improvvisare, non sa creare.
È come una musicista impeccabile nella tecnica ma incapace di improvvisare: può eseguire perfettamente uno spartito, ma non scriverne uno nuovo.
Il ruolo della follia artificiale
Per rendere l’intelligenza artificiale davvero intelligente, si è dovuta inserire al suo interno una piccola dose di ciò che potremmo chiamare follia artificiale. In termini tecnici, si tratta di casualità o, più correttamente, randomizzazione.
La casualità entra in gioco in diversi momenti chiave:
- nei dati: i campioni usati per insegnare qualcosa a un modello vengono scelti spesso in modo casuale; così la macchina non impara soltanto a memoria, ma riesce a riconoscere schemi generali;
- nel modello stesso: quando una rete neurale inizia ad allenarsi, le sue strutture e i suoi parametri non partono da un punto predefinito, ma da un punto casuale, questo la aiuta a non bloccarsi in schemi ripetitivi;
- nell’apprendimento: tecniche di ottimizzazione introducono un po’ di imprevedibilità nel modo in cui la macchina cerca soluzioni, permettendole di esplorare strade nuove;
- nella creatività controllata: durante l’apprendimento si spengono di proposito parti delle strutture della rete, così la rete deve ingegnarsi per trovare risposte più robuste a modifiche della rete stessa.
Insomma, questi piccoli elementi di caos non rendono l’intelligenza artificiale, dissennata come può esserlo un essere umano, ma le danno una qualità preziosa: la capacità di sorprenderci.
Intelligenza come equilibrio tra razionalità e follia
L’introduzione della casualità nelle macchine riproduce, in forma ridotta, quella tensione che da sempre caratterizza l’essere umano. Anche noi, nel nostro pensiero, alterniamo logica e intuizione, metodo e improvvisazione. Senza razionalità non avremmo scienza né tecnologia; senza follia non avremmo arte, innovazione, progresso.
L'intelligenza artificiale, dunque, non è soltanto un esercizio di logica estrema. È un tentativo di tradurre in codice l’equilibrio che ci definisce: un’armonia instabile tra razionalità e follia.
Ed è affascinante notare come le stesse persone che fanno ricerca, pur muovendosi in un contesto tecnico, abbiano riconosciuto che la pura razionalità non basta. Per generare sistemi davvero intelligenti, serve un ingrediente ulteriore: il caso, l’imprevedibilità, la follia artificiale.
Dove essere umano e macchina si incontrano
In fondo, è proprio qui che essere umano e macchina si avvicinano. L’essere umano rischia continuamente di perdersi nei propri eccessi: troppa ragione porta rigidità, troppa follia conduce al caos. L’intelligenza artificiale, al contrario, deve imparare artificialmente a bilanciare le due forze: importando un po’ del nostro disordine per rendere fertile la sua logica perfetta.
Il futuro dell’intelligenza, sia naturale che artificiale, sembra quindi dipendere da un equilibrio sottile. Non dall’eliminazione della follia, ma dal suo incanalamento. Non dalla fuga dall’imprevedibile, ma dalla capacità di trasformarlo in risorsa.
Forse, allora, la vera lezione che l’intelligenza artificiale ci restituisce è proprio questa: che l’intelligenza, in ogni sua forma, non nasce dall’ordine assoluto, ma dal dialogo continuo con l’imprevedibile.