I social media, una nuova forma di dipendenza?

La rete: strumento di libertà o strumento di controllo?

Sin dai suoi albori l’avvento di internet ha accesso una disputa tra ottimisti/entusiasti e scettici/catastrofisti. Per i primi, la rete avrebbe favorito maggiore libertà e autonomia, per i secondi avrebbe fornito strumenti di manipolazione e di controllo. Nell’era dello Smartphone, delle App e dei Social media, il duplice volto delle tecnologie digitali – mirabilmente anticipato da Stefano Rodotà in un libro del 1997, Tecnopolitica - sembra riaffermarsi.

Non si possono ridurre gli effetti di un’innovazione tecnologica tanto importante a un giudizio dicotomico, le tecnologie digitali hanno contribuito a trasformare le nostre vite, aprendoci una serie di opportunità che sarebbe stato impossibile solo immaginare qualche anno fa. È però vero che, negli ultimi anni, i media digitali sembrano sempre più associarsi a fenomeni manipolativi, alla degenerazione del dibattito pubblico, a un imbarbarimento delle relazioni. Oggi, inoltre, gli indubbi aspetti positivi, quanto quelli negativi, sono amplificati dalla pervasività dei media digitali nella nostra vita quotidiana. Oggi l’espressione “andare in rete” non ha più senso. Oggi “siamo in rete”: i dispositivi mobili ci consentono in qualsiasi momento di integrare le interazioni fisiche con quelle virtuali, di costruire un doppio canale e di rendere possibile una sorta di “doppia presenza”, o come spesso avviene, di isolarci dall’intorno sociale “fisico” per immergerci nella socialità online. Tutto ciò ci rende più indipendenti dai vincoli spaziali e temporali, e quindi dai vincoli sociali. Siamo più liberi di scegliere. 

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La rete e i social media sono diventati così importanti nella nostra vita quotidiana, al punto che non ne possiamo fare a meno. Ciò, ancora di più, a seguito della crisi pandemica: la rete e i social media sono gli strumenti che ci hanno mantenuti connessi, e che hanno reso possibile che il distanziamento fisico non si trasformasse in un distanziamento sociale (questo secondo termine è stato utilizzato in maniera impropria per indicare il primo). Nei lunghi mesi del lockdown la socialità online ha assorbito la quasi totalità delle nostre attività e delle nostre relazioni. Ne stiamo diventando dipendenti?   

Dipendenza funzionale e dipendenza psicologica

Possiamo parlare di dipendenza dai social media in due sensi. Si è dipendenti dai social media perché questi rappresentano la nostra principale finestra sul mondo al punto che quando per un problema di server non possiamo utilizzare per alcune ore alcuni dei social che siamo abituati a usare costantemente – è successo di recente – ci sentiamo sconnessi e accompagnati dal senso di avere perso qualcosa di importante. I social media ci permettono di interagire con amici e parenti, di mantenere le relazioni con una cerchia più ampia di conoscenti, di seguire le chat di Whatsapp dei genitori, del quartiere, di associazioni e di reti di vario genere. Sono lo strumento attraverso cui riceviamo buona parte delle informazioni, poiché i media – tradizionali e online – utilizzano in maniera regolare i loro account sui social per veicolare le notizie, e perché è frequente che gli articoli vengano condivisi dagli utenti, corredati di commenti. Anche i politici utilizzano i social media per comunicare, bypassando i giornalisti. I social media sono quindi uno strumento di comunicazione interpersonale e di informazione. Ma sono al contempo uno dei nostri passatempi preferiti.

Compulsare un social, scorrere le immagini, i video e i “meme” rappresenta una sorta di equivalente della lettura di una rivista di intrattenimento. Con una differenza: dal momento che apro lo smartphone e inizio a consultare i social media, tutte le azioni che abbiamo sopra descritto tendono a sovrapporsi e a intrecciarsi. Aprendo i social posso, in pochi minuti, sapere cosa hanno fatto qual giorno i miei amici (o meglio, i miei contatti, che possono essere vecchi compagni di scuola, colleghi di lavoro, parenti, amici del gruppo di trekking, ecc), cosa hanno mangiato, dove sono, cosa pensano. Mi aggiorno sulle iniziative e gli eventi del prossimo fine settimana. Posso leggere e commentare articoli di quotidiani o di riviste online, leggere il post di un politico, vedere le ultime proposte del mio negozio preferito, guardare e condividere video e meme divertenti. Non riusciamo a chiudere lo smartphone perché tutto ciò che prima richiedeva spazi e momenti differenziati, ora è tutto lì, a portata di mano. Ma anche perché non arriva ma il momento in cui, mentalmente, ci sentiamo appagati. Ci sarà sempre un altro video, un altro post, un altro commento da vedere. E nel frattempo altre mail e altri messaggi da leggere, e a cui rispondere.  I social media producono un overload informativo e connettivo (spesso in forma superficiale) che, al momento in cui non siamo connessi, ci provoca ansia: percepiamo di non sapere più cosa avviene attorno a noi. Pensiamo quali messaggi, quali informazioni, quali novità potremmo avere perso.

A una dipendenza che definiamo funzionale dai social media si associa, dunque, una dipendenza di tipo psicologico, di cui è molto difficile stabilire i confini con la prima e che è favorita dalla struttura stessa dei media digitali. Contenuto dopo contenuto, siamo portati a “swippare” (scorrere il dito, per caricare nuovi contenuti), per vedere cosa ci sarà dopo, e ancora dopo. Si tratta di un gesto che assomiglia, per alcuni aspetti, allo zapping televisivo, con la differenza che, dopo un po’ i canali sono finiscono, i social, invece, si aggiornano continuamente. 

Social media addiction
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La quantità di stimoli ricevuti, la continua distrazione e la sovrapposizione di una molteplicità di dimensioni comunicative incide negativamente sull’attenzione, sulla capacità di concentrarsi su un argomento, senza essere “risucchiati” dal flusso vorticoso di contenuti che ci distraggono. Così come il rapporto compulsivo con il cibo tende a correlarsi alla ricerca di junk food, che riempie, offre sapori forti e appaga per via della forte presenza di zuccheri, sale e grassi saturi, la dipendenza da social – traducendosi in un accumulo compulsivo di contenuti - è promosso, e a sua volta promuove, lo sviluppo di una junk communication, fatta di meme, di slogan, di notizie false che creano assuefazione. 

Luca Raffini è Ricercatore presso il Dipartimento di Scienze Politiche
Foto di copertina di Pixabay

di Luca Raffini