Il PNRR e il dialogo tra pubblico e privato
Il PNRR tra sogni e realtà
I sogni del PNRR (Piano Nazionale di Resistenza e Resilienza) rischiano di infrangersi contro la lentezza della macchina pubblica italiana. Il 2026, termine entro il quale le opere dovranno essere terminate e rendicontate all’Europa, è dietro l’angolo. Qualcuno ha parlato della necessità di una transizione burocratica, a fianco di quella ecologica. In attesa che si compia, bisogna correre ai ripari, per evitare che i fondi europei vadano sprecati, oppure debbano essere restituiti.
Una vulgata fra le più diffuse è quella che con i fondi del PNRR si potrà fare tutto: dai marciapiedi dei piccoli paesi, agli ospedali, alle grandi infrastrutture. Sarà tre volte Natale, insomma. La realtà è molto diversa: la gran parte dei fondi sarà assegnata sulla base di procedure competitive. Ciò significa che vinceranno i progetti migliori e non saranno distribuite erogazioni a pioggia. Anche la pari ripartizione tra Regioni è una chimera: a parte la riserva per le Regioni del sud (almeno 40% delle risorse totali), le altre Regioni dovranno conquistarsi le risorse PNRR con la qualità dei progetti presentati. Ciò significa che ci saranno aree del Paese che avranno di più, e aree che avranno di meno.
Il supporto alle pubbliche amministrazioni
È dunque importante, soprattutto per le pubbliche amministrazioni, strutturarsi in fretta per presentare progetti in grado di vincere le selezioni e rispettare i vincoli qualitativi e temporali previsti dalle normative europee. Difficile, però, fare le nozze con i fichi secchi: molte amministrazioni, soprattutto quelle locali, non hanno risorse e competenze per presentare progetti complessi, soprattutto in tempi brevi. La soluzione del Governo centrale è quella di mettere a disposizione alcune strutture di supporto, come Cassa depositi e prestiti e Invitalia, per sostenere la progettualità degli enti territoriali. Le Regioni più attente hanno individuato nelle proprie società finanziarie in house il supporto per le operazioni sul territorio: Regione Liguria, ad esempio, ha espressamente previsto che sia Filse Spa l’advisor tecnico per i progetti di interesse regionale.
Il partenariato pubblico-privato è il vero asso nella manica per il successo del PNRR
Ma tutto questo rischia di non essere sufficiente, se il mondo pubblico ritiene di gestire la partita del PNRR in modo autoreferenziale. La vera chiave del successo, infatti, è quella di una contaminazione tra il mondo pubblico e quello privato, secondo le numerose forme di partenariato (PPP) previste dalle norme.
Solo unendo il “meglio dei due mondi”, per usare un’espressione cara agli studiosi delle forme di governo, si può ottenere la realizzazione di opere di interesse pubblico garantito, di alto livello qualitativo e in tempi compatibili con i finanziamenti europei.
Come hanno notato gli osservatori più attenti (cfr. O. Granato, Il Recovery non sia il concorrente degli investimenti privati, in Formiche), la collaborazione tra pubblico e privato è anche l’antidoto per non allontanare dalla penisola gli investitori. Se le grandi infrastrutture comprese nel PNRR vengono finanziate solo con capitali pubblici, infatti, il rischio è che quelli privati migrino verso terre più ospitali. Al contrario, se i denari pubblici del PNRR vengono chirurgicamente focalizzati sulle opere “non bancabili”, si può creare un effetto volano che consenta di attrarre capitali privati da affiancare alle risorse pubbliche. Detto altrimenti, con pari risorse pubbliche suddivise fra più opere, e affiancate da risorse private, si possono avviare e realizzare molti più progetti di quelli realizzabili con sole risorse pubbliche.
Revisioni del PNRR: l’urgenza delle scelte
La partita del PNRR è appena cominciata, ma i nodi strategici pare che siano già al pettine. Non è un caso che, proprio nelle ultime settimane, siano arrivate dal Governo le prime timide ammissioni sulla necessità di rivedere il piano, anche nella direzione di un maggiore coinvolgimento dei soggetti privati. Bene, ma urge scegliere adesso, per non trovarsi al 2026 con tanti non-finiti che, a differenza di quelli di Michelangelo, non avrebbero nulla di artistico, ma – al contrario – certificherebbero il fallimento dell’Italia in una delle più importanti occasioni di ripresa mai presentate.
Lorenzo Cuocolo è Docente di Diritto pubblico comparato presso il DISPI e Presidente di Filse SpA