La produzione normativa tra scienza e diritto

La scienza per il diritto

La contingente situazione pandemica ha messo in luce, molto più che in passato (dove pure non sono mancati gli spunti), il ruolo e il peso della scienza nella società contemporanea, anche nota come «società della conoscenza». Questa è infatti capace di condizionare sempre più profondamente i nostri comportamenti e la nostra vita, fino ai suoi estremi della nascita e della morte.

Ma la scienza non incide, con risvolti rilevanti anche per il diritto, esclusivamente sulla procreazione, sulla genitorialità e sul tramonto dell’esistenza (prolungandola oltre quanto immaginabile in passato): induce anche a creare nuovi soggetti del diritto (è il caso delle attuali riflessioni sullo statuto dell’intelligenza artificiale), nuovi oggetti di regolazione (i big data sono qualcosa di più e di diverso delle singole informazioni che li compongono, e non si è arrestato il dibattito sulla brevettabilità dell’embrione) e anche nuove situazioni soggettive (è il caso della privacy, che si arricchisce costantemente di nuovi significati, ma anche del tanto discusso diritto di accesso a internet).

La scienza e la pandemia

Assistiamo oggi a un aumento improvviso e a dismisura della domanda di scienza anche da parte delle nostre istituzioni. La gestione dell’epidemia infatti è parsa per ampia misura demandata a comitati tecnico-scientifici e task force, ossia a expertise tecniche le quali hanno assunto un ruolo di protagonisti, al pari del - se non addirittura sostituendo il - decisore pubblico.  

Emblematica di questo atteggiamento è la dicitura che compare sui protocolli d’intesa tra lo Stato e le confessioni religiose adottati ai fini di riprendere «in sicurezza» le celebrazioni che coinvolgono i fedeli: «[i]l Comitato Tecnico-Scientifico […] ha esaminato e approvato il presente protocollo». Questo pure in una materia dove già la Costituzione, agli articoli 7 e 8, delinea con precisione gli interlocutori.  

Che il legislatore avesse bisogno, anche in passato, di conforti da parte di altri saperi, ne è una prova il CNEL. Questo, previsto all’articolo 99 della Costituzione, è composto di esperti e rappresentanti delle categorie produttive e svolge, tra l’altro, funzioni di consulenza nei confronti del Governo in materia economica e sociale. Orbene, sono significative le analogie con ciò che è chiamato a fare il Comitato di esperti in materia economica e sociale istituito con d.P.C.M. del 10 aprile 2020.

Con ciò non si intende sostenere che quanto fa il Comitato per questa pandemia potrebbe essere svolto dal CNEL, il quale ha privilegiato altre sue funzioni e soffre un’endemica crisi, ma porre l’accento sulla continuità delle esigenze delle nostre istituzioni

Task force

L’emersione dell’incertezza scientifica…

La consapevolezza che con maggiore evidenza emerge da questo periodo, tuttavia, è quella dell’incertezza scientifica. L’idea di una scienza neutrale, oggettiva e certa, caratterizzata da un rigore metodologico incomparabile e i cui adepti (gli scienziati) sono indipendenti e privi di convinzioni morali o ideologiche in grado di condizionarli, è il frutto di una precisa epoca storica, quella del positivismo, che mal si presta a rappresentare la realtà odierna.  

Oggi assistiamo alla drammatica presa di coscienza della non-neutralità e non-obiettività del sapere scientifico, dell’appartenenza della comunità degli scienziati a un contesto politico e sociale che la condiziona, del fatto che la comunità al suo interno spesso non è unanimemente concorde per ragioni non solo scientifiche ma anche etiche, che esiste una pluralità di criteri e di metodologie di indagine scientifica, che vi sono casi in cui non è possibile offrire univoche risposte e che non mancano interferenze tra osservazione e osservatore che rendono l’idea stessa di oggettività discutibile. Non per questo dev’essere disattesa e confinata in un angolo. Tuttavia, deve essere ricondotta entro adeguati confini.  

Gli esiti di una non corretta configurazione dei rapporti tra scienza e politica a monte, e dunque tra scienza e legislazione a valle, sono disastrosi. Se infatti il diritto di origine legislativa non è in grado di filtrare e così far scorrere l’elemento scientifico lungo adeguati argini, il compito ricade in toto sul giudice, il quale non può trincerarsi dietro un pilatesco «non liquet», ma deve offrire risposta alle esigenze di tutela della collettività.

Con ciò non si vuole sostenere che il giudice sia o debba tornare a essere bocca della legge, e che quindi debba limitarsi ad applicare acriticamente e parola per parola quello che il dettato normativo prescrive. Tuttavia è necessario lasciare al giudice un ruolo terzo e imparziale, di garanzia dei cittadini davanti a una legge che, per l’appunto, è presupposta al suo lavoro: non deve, in altri termini, sostituirsi al legislatore. Solo in tal modo la sua potrà essere un’applicazione (anche creativa) del diritto, fenomeno molto più vasto della sola legge (come spiegato da Daniele Colonna nell'articolo "Il diritto oltre la legge"), senza però surrogarsi a chi la legge è chiamato ad approvarla, rispettando quindi quella separazione dei poteri che già Montesquieu ci ha insegnato.

…e la sua riconduzione a giusti ambiti

Come venirne a capo allora? L’impostazione che meglio descrive i rapporti tra scienza e diritto non è quella che vede il dominio dell’una sull’altra (magari della scienza sul diritto, come profetizzò Emanuele Severino). Il legislatore può e deve utilmente abbeverarsi alla fonte del sapere scientifico, solo che non può arrestarsi ad un suo acritico recepimento ma deve anzi farsi carico delle sue incertezze, che deve sciogliere in via normativa. Come? Il primo passo è senz’altro quello di rifarsi a quell’insieme di valori fatti diritto e sanciti nella nostra Costituzione e nelle altre carte dei diritti e codificazioni che ci riguardano.

Ove la scienza offra al diritto una pluralità di soluzioni, almeno alcune delle quali apparentemente parimenti valide e sostenibili, il legislatore dovrà pertanto scegliere quella conforme ai principi che sovraintendono al nostro ordinamento, e dunque rispettosa dei diritti degli individui. Solo in tal modo è possibile parlare di
co-produzione normativa, ad opera della scienza e del diritto, garantendo legittimazione scientifica e legittimazione costituzionale delle decisioni, e dunque il più alto livello di protezione della persona umana.

di Federico Ponte