Intervista_Di Matteo
Intervista al magistrato antimafia Nino Di Matteo
Il 15 novembre si è svolto nell’Aula Magna dell’Albergo dei Poveri il convegno dal titolo “MAFIA-MAFIE: è ancora Cosa Nostra” organizzato dall'Associazione studentesca "Idee Giovani Unige" in collaborazione con l'Università degli Studi di Genova.
All'incontro ha partecipato, tra gli altri, Nino Di Matteo, magistrato impegnato ormai da anni nel processo sulla Trattativa Stato-Mafia.
Al termine del convegno, abbiamo colto l’occasione per porgergli alcune domande.
1. Abbiamo letto che recentemente ha rifiutato la proposta del Consiglio superiore della magistratura di lasciare Palermo per motivi di sicurezza. Non andrà quindi a Roma a lavorare alla Direzione nazionale antimafia. Quali sono le sue motivazioni?
Le motivazioni sono molto semplici: ho pensato che accettare un trasferimento motivato esclusivamente da eccezionali ragioni di sicurezza avrebbe potuto rappresentare un segnale di resa personale e istituzionale che non ho voluto dare. La mia aspirazione rimane quella di andare alla Procura Nazionale Antimafia; ci andrò solo se e quando supererò un regolare concorso.
2. La mafia conquista territori, economie, uomini, sembra un’organizzazione in perenne crescita a cui nulla fa timore. Eppure, purtroppo diverse volte nel corso della storia della lotta alla mafia, alcune persone sono state assassinate per paura delle loro parole e del loro esempio, penso ai giornalisti e attivisti Peppino Impastato, Pippo Fava, ai giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Quanto, secondo lei, l’esempio di uomini che amano le istituzioni, che lottano con coraggio contro il sopruso e la violenza, che credono nell’uso della parola e non delle armi per affermare la giustizia, può spaventare la mafia?
Da sempre i mafiosi hanno fatto i loro sporchi affari contando sul silenzio e sull’indifferenza delle popolazioni. Parlare di mafia, denunciare quello che accade, fare vera memoria degli esempi che ci hanno lasciato le persone che lei ha nominato, che sono morte in nome di un ideale, significa costruire una base fondamentale per cercare di cambiare la mentalità mafiosa, di trasformare l’indifferenza in volontà di reagire, di partecipare. Soltanto attraverso il coinvolgimento culturale soprattutto dei giovani, potrà compiersi quella rivoluzione che porterà finalmente a debellare anche la mentalità mafiosa. Se la mafia in passato ha ucciso tante persone, ciò è potuto accadere perché una parte troppo larga della popolazione è stata indifferente al problema. Il coinvolgimento e la partecipazione sono il primo antidoto per evitare che ciò che è accaduto continui a ripetersi.
3. Nel suo libro “Collusi” afferma che “Il mafioso costituisce per le persone (…) un’autorità più importante dello Stato potendo temere dallo stesso (…) immediate e irreparabili ritorsioni”. La percezione della mancanza di conseguenze, i lunghi tempi giudiziari e la possibilità di annidarsi fra le pieghe dei cavilli legali e “farla franca” (mi riferisco, in particolare, alla generale impunità, ad esempio, del reato di corruzione e ai meccanismi di prescrizione che spesso vanificano anni di indagini) costituiscono ulteriore spinta ad affidarsi all’ “efficiente” potere mafioso che potremmo definire “Parastatale”?
Per combattere la mafia, lo Stato deve dare, in tutte le sue articolazioni, un esempio di efficienza, di trasparenza e di pulizia. Questo significa che dobbiamo garantire processi veloci, nel caso di condanna, pene certe che vengano effettivamente scontate e dobbiamo non solo essere, ma – come istituzioni – apparire credibili agli occhi dei cittadini. Per fare questo, lo Stato non può avere paura di nulla, non può nemmeno avere paura di scoprire, eventualmente, verità che riguardano propri appartenenti e che quindi riguardino eventuali collusioni fra rappresentanti istituzionali con la mafia. Uno Stato autorevole, per essere tale, non può neppure avere paura di processare eventualmente sé stesso.
3. Sempre nel suo libro, afferma che “L’Antimafia non deve essere solo repressione, ma deve alimentarsi di progetti di rinascita sociale, morale e religiosa”. Lo Stato e la Chiesa locale come possono intervenire per minimizzare il rischio che le frange più deboli della società ricorrano al potere mafioso laddove si sentono abbandonate da quello Statale?
Il potere politico deve finalmente capire che la questione mafia non è una questione marginale, una questione che riguarda soltanto alcuni territori del nostro Paese, ma è una questione nazionale di inquinamento grave della nostra democrazia a tutti i livelli e quindi mettere la questione della lotta alla Mafia tra le questioni principali da affrontare nell’agenda politica.
La Chiesa, come hanno dimostrato episodi e vicende tragiche ma allo stesso tempo bellissime come quella di Padre Puglisi, deve dimostrare di continuare nell’opera di affermazione della verità che non può prescindere anche dalla denuncia della gravità e della pericolosità del fenomeno mafioso a tutti i livelli, soprattutto partendo dal territorio, così come era partito dalla denuncia di quanto accadeva nel territorio Padre Puglisi.
4. Al termine del suo libro, afferma che “comunque vada avremo combattuto per rendere libero il nostro paese. E sarà stata una giusta battaglia. L’unica battaglia in grado di onorare i nostri morti e liberare la nostra terra, per portare a termine, tutti assieme e ciascuno nel proprio ruolo, quella rivoluzione culturale che spargerà nel nostro paese il fresco profumo della libertà.”. Quali esortazioni si sente di dare ai giovani per realizzare questo sogno?
Ma, io da cittadino prima ancora che da Magistrato e da padre ancora prima che da Magistrato, spero soltanto che i giovani non si rassegnino all’indifferenza, che non si rassegnino a vedere la politica, il potere, le istituzioni come qualcosa di diverso e di lontano, che si mettano in gioco per cambiare quello che dev’essere cambiato, che non si rassegnino perché non è vero che le cose devono necessariamente restare come sono, non è vero che non si può cambiare in meglio. E mi auguro soltanto che ciascuno faccia la sua parte, non cedendo alla tentazione della rassegnazione o del quieto vivere perché finisce per spegnere la passione civile, che invece ogni giovane dovrebbe coltivare per amore del suo Paese.
Link dell'intervista a Nino di Matteo durante il Convegno “MAFIA-MAFIE: è ancora Cosa Nostra”: https://www.youtube.com/watch?v=IqDJwnJXPEc
La Redazione