La complessa gestione dell’attività legata alla pesca in Liguria
Il settore della pesca in Liguria langue da diversi anni in una condizione di recessione. La flotta peschereccia ligure costituisce solo il 4% di quella nazionale e il pescato totale è inferiore al 2%. Diverse sono le cause.
In primo luogo il progressivo aumento dell’età media dei pescatori per l’abbandono dell’attività da parte delle nuove generazioni. Va poi considerata, rispetto alle altre regioni, l’obsolescenza delle imbarcazioni e il loro ridotto tonnellaggio, aspetti legati ai tipi di pesca professionale più diffusi in Liguria: la pesca costiera locale e la piccola pesca artigianale. La notevole qualità delle specie bersaglio e il conseguente elevato valore di mercato, rappresenta un interessante incentivo alla prosecuzione dell’attività, ma sono proprio le preferenze dei consumatori a determinare in parte la riduzione dei quantitativi e della taglia media delle catture, in risposta a un prelievo sempre più spinto a danno di giovanili immaturi, sottratti così alla possibilità di contribuire alla ricostituzione in numero e biomassa dello stock sfruttato.
Praticamente inesistente in Liguria è la pesca industriale, fatta eccezione solo per alcune catture operate con il sistema a circuizione, noto come “lampara”. Importanti quantitativi di pescato di pesce azzurro (sardine in particolare, meno apprezzate dai consumatori liguri) vengono inviati all’industria di trasformazione alimentare del nord e non destinati al mercato locale (come accade invece più comunemente per le ricercate acciughe).
La serie storica dei dati necessari a una corretta gestione delle risorse alieutiche, fatta eccezione per i pesci demersali e i grandi pelagici, è ancora piuttosto ridotta per quel che riguarda i piccoli pelagici. Il loro controllo gestionale è reso complesso dalle notevoli fluttuazioni annuali e stagionali che i diversi stock manifestano in risposta alle variazioni di numerosi fattori ambientali, primo fra tutti la disponibilità trofica influenzata dal riscaldamento delle acque mediterranee e dalla conseguente variazione del flusso delle correnti nelle masse d’acqua frequentate da pesci tipicamente migratori.
È comune pensare che l’aleatorietà delle catture, in numero e dimensioni, sia determinata prevalentemente da uno sfruttamento esagerato, addossando la responsabilità ai pescatori. In realtà si deve tener conto delle particolari caratteristiche del ciclo biologico dei piccoli pelagici. Dotati di una notevole capacità di adattamento alle variazioni dei fattori ambientali, possono, da una stagione all’altra, subire una marcata riduzione in numero e biomassa, con conseguente drastica riduzione delle catture. All’opposto, possono ricostituire ed incrementare lo stock, in risposta al sopraggiungere di condizioni trofiche ottimali, opzione che appare comunque meno probabile in considerazione della nota scarsità di apporti nutritivi derivanti dai corsi d’acqua liguri, essenzialmente a carattere torrentizio, con portate ridotte o addirittura nulle in estate. Ne deriva la povertà di fattori favorevoli alla crescita degli stock alieutici nell’acqua costiera del Mar Ligure, mentre, al contrario, le acque del largo, rinnovate da risalita di masse profonde ricche di nutrienti, consentono l’alimentazione a grandi cetacei attirati dalla proliferazione del plancton.