Le ultime tornate elettorali in Europa e Italia: elementi comuni, specificità nazionali
Le ultime tornate elettorali in Europa e Italia: elementi comuni, specificità nazionali
Per una fortuita coincidenza si è svolta in queste ultime settimane in Europa una serie di tornate elettorali che, seppure di livello diverso - presidenziali in Francia, legislative in Grecia e comunali in Italia -, hanno rivestito un analogo e rilevante significato politico.
Cominciamo dagli elementi comuni ai tre paesi, che, con ogni probabilità sono condivisi, in misura variabile, anche dal resto del nostro continente. Queste elezioni confermano il modo peculiare in cui i cittadini europei vivono e reagiscono ai contraccolpi della crisi economica. L'insicurezza, la frustrazione e la rabbia dell'opinione pubblica non si manifesta infatti, come accade nel resto del mondo, scagliando invettive e accuse alle banche e alla comunità degli affari. Il bersaglio è costituito piuttosto dal sistema monetario europeo e dall'insieme di istituzioni comunitarie sui cui esso si regge. Il principale capro espiatorio, a torto o ragione, è stato quindi individuato nell'Europa e negli attori che ne determinano, in primo luogo la Germania, gli indirizzi strategici. Ciò ha originato un progressiva e sempre più acuta ondata di protesta, dalle sfumature diverse da paese a paese, ma dai chiari connotati populistici e neonazionalisti. Naturalmente l'intensità del fenomeno varia in modo quasi proporzionale alla portata della crisi in ciascun contesto: in questa circostanza si va dal minor grado della Francia al massimo della Grecia, con l'Italia collocata approssimativamente a metà strada. In questo ambito, ove l'origine e la soluzione dei problemi si trova a livello europeo, sono implicate questioni sia di metodo sia di merito. Dal primo punto di vista c'è da affrontare l'insofferenza montante dell'opinione pubblica continentale nei confronti di un sistema di governance nel quale l'ingerenza tecnocratica, spesso percepita come distante e non rappresentativa, si sposa con un assetto dei poteri vistosamente sbilanciato a favore di un sempre più screditato e delegittimato direttorio franco-tedesco. Nel merito vengono contestati gli indirizzi di una politica economica improntati ad una rigida ortodossia monetaria, ritenuti non più accettabili per gli enormi costi sociali da essi indotti in molti paesi. La soluzione a questi problemi dovrebbe quindi consistere in un rafforzamento e in una democratizzazione del sistema politico europeo e in un mutamento delle sue strategie economiche e sociali.
In questo quadro complessivo la congiuntura politica italiana spicca per alcuni suoi tratti peculiari. Il più importante e, se vogliamo, più grave è rappresentato dal fatto che alla crisi economica si è sovrapposta una duratura ed endemica crisi politico-istituzionale. Le ultime elezioni comunali hanno ulteriormente evidenziato la caduta di legittimità e credibilità delle nostre istituzioni e dei nostri partiti. E hanno messo a nudo la sconcertante fragilità delle basi su cui si era eretta la cosiddetta seconda repubblica. Seppur con tutte le cautele dovute al fatto che si tratta di elezioni parziali e locali (che spesso vengono almeno parzialmente smentite dalle elezioni politiche) si scorge il rischio di uno sconvolgimento del nostro panorama politico. Sembra di assistere, infatti, non solo ad un ampio e fisiologico spostamento dei rapporti di forza, ma all'inizio di un processo di destrutturazione del sistema partitico che abbiamo conosciuto e vissuto negli ultimi venti anni, con una particolare accentuazione nello schieramento di centro-destra, che sta vivendo, per il momento, le vicissitudini più grandi. La sovrapposizione appena menzionata obbliga la classe politica ad un complicato e acrobatico esercizio di "problem solving", che tocca piani diversi e delicati: la forma di governo, i meccanismi della rappresentanza e la fisionomia dei partiti. È evidente che la nostra attuale forma di governo non assicura efficienza e rapidità al processo decisionale. Occorre quindi intervenire per assicurare la stabilità degli esecutivi e una maggiore snellezza dei lavori parlamentari. Anche i meccanismi della rappresentanza devono cambiare, al fine di garantire un legame più stretto tra rappresentanti e rappresentati e al fine di evitare una eccessiva e pericolosa frammentazione dell'offerta politica. Infine i partiti. La stagione dei "partiti personali" ha messo in evidenza tutti i loro limiti: una natura troppo effimera e l'incapacità di elaborare, e poi sostenere, un progetto politico robusto e lungimirante. Per riacquistare credibilità occorre che diventino organizzazioni più trasparenti e "contendibili", ossia capaci, in virtù di una maggiore apertura, di garantire, da un lato, un ricambio e fisiologico e non traumatico (come avviene in tutte le democrazie mature) del ceto politico e, dall'altro, un aggiornamento costante (adeguato al rapido mutare dei tempi) dei loro programmi. Si tratta, in tutti e tre i casi, di premesse necessarie, anche se non sufficienti per formulare e attuare buone politiche pubbliche e per ristabilire un rapporto fiduciario tra politica e cittadini.