La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori nell'ambito marittimo e portuale
La tragedia e la commemorazione
Il 13 marzo 1987, nel porto di Ravenna, tredici operai, impiegati in operazioni di manutenzione nei cunicoli dei doppifondi della nave gasiera Elisabetta Montanari, di proprietà della Mecnavi s.r.l., morivano soffocati da gas tossici, sprigionati, a loro volta, dall’incendio originatosi dal taglio di alcune lamiere, che avveniva al contempo sulla medesima imbarcazione.
Mentre i tredici “picchettini” (molti dei quali giovani e assunti in nero) si trovavano sdraiati in cunicoli alti non più di novanta centimetri, un diverso gruppo di lavoratori – ignaro della presenza dell’altro – era stato addetto al taglio di alcune lamiere sulla stessa nave. Non c’erano uscite di sicurezza, né estintori, che pure sarebbero stati obbligatori; tantomeno si adottavano misure per coordinare le diverse attività e ridurre i rischi per l’incolumità delle persone. Quando le scintille innescarono l’incendio, chi si trovava nei cunicoli della nave non trovò vie di fuga. Mentre i responsabili correvano a cercare i libretti del lavoro per mettere in regola i dipendenti, tutto si consumava in fretta. I corpi dei lavoratori furono recuperati dopo poche ore.
Un “lavoretto” estivo, quello di manutenzione nei cunicoli delle navi, che svolgevano molti ragazzi durante l’estate, per guadagnare qualche soldo – racconta il ministro del lavoro Andrea Orlando, ligure di origine, durante la Commemorazione per i caduti della Mecnavi, tenutasi (sul web) il 13 marzo 2021, con la partecipazione del Sindaco di Ravenna, Michele de Pascale, del sindaco di Bertinoro, Gabriele Antonio Fratto, del segretario generale Uil Ravenna, Carlo Sanna (in rappresentanza delle organizzazioni locali di Cgil, Cisl e Uil) e della sottoscritta, chiamata a sensibilizzare i ragazzi invitati all’evento – in particolare, gli studenti dell’Itis “N. Baldini” di Ravenna – sul tema della sicurezza sul lavoro.
L'eredità della tragedia
Come emerso dalle riflessioni dei partecipanti, il tragico incidente della Mecnavi scosse l’opinione pubblica e fu probabilmente uno degli eventi che portarono, nel corso del decennio, all’adozione di una disciplina ad hoc in materia di sicurezza sul lavoro in ambito portuale e a bordo nave.
Di certo i d.lgs. n. 271 e 272 del 1999 hanno costituito un sicuro progresso in tal senso, sebbene la legislazione risulti ancora parzialmente inadeguata allo scopo, per due ragioni: perché incompleta rispetto alla complessità dei rischi per la sicurezza che si determinano nei porti o sulle navi e perché tuttora non agilmente integrata con il Testo Unico sulla salute e sicurezza sul lavoro, il d.lgs. n. 81/2008.
Normativa, quest’ultima, che ha posto al centro della disciplina le misure di prevenzione dei rischi, oltre ad adottare una logica partecipativa, volta ad emancipare i lavoratori: da destinatari a soggetti coinvolti nell’implementazione e adozione delle migliori misure di prevenzione possibili.
Nel complesso, il legislatore ha progressivamente superato un sistema altrimenti (perlopiù) basato sulla monetizzazione del danno subìto dal lavoratore, rendendo la legislazione maggiormente coerente con il valore attribuito al lavoro e alla salute dalla Carta costituzionale, nonché con l’affermazione, riconosciuta a livello internazionale, secondo cui il lavoro non è una merce, come espresso nel 1944 in seno all’Organizzazione Internazionale del Lavoro (Dichiarazione di Filadelfia).
Proprio il riferimento all’OIL consente di ricordare che anche lo svolgimento di attività che hanno luogo in mare merita un’attenzione adeguata. Si consideri che, stando ai dati resi noti dall’OIL, l’ottanta percento delle merci (per volume; per valore è il settanta percento) su scala globale è trasportato via mare.
Il settore riveste, pertanto, una significativa centralità dal punto di vista degli scambi internazionali; la necessità di assicurare condizioni dignitose e sicure di lavoro ha ormai trovato sbocco in un consolidato corpus di convenzioni internazionali (una su tutte: la Maritime Labour Convention del 2006, recentemente emendata), che superano la “gittata” delle discipline nazionali precedenti (ad esempio, l. n. 1045/1939) e che, soprattutto, devono la relativa efficacia alle difficoltà di circolazione che colpiscono le navi non rispettose della convenzione secondo le valutazioni effettuate nei porti di altri Paesi.
La situazione attuale
Fatta eccezione per alcune realtà produttive, l’efficacia delle misure poste a tutela dei lavoratori, al di là del valore a ciò astrattamente attribuito dal legislatore, è spesso di difficile realizzazione. L’incidente verificatosi nel 1987 sulla nave Elisabetta Montanari non è, pertanto, da ricordare quale mera testimonianza di un capitolo chiuso.
In generale, infatti, la mancata prevenzione del rischio da attività interferenti, accaduto nella vicenda ricordata, non è un problema del tutto risolto.
Nei contesti navali e portuali si svolge una serie di attività che sono spesso rischiose di per sé e che vengono rese ancor più pericolose dalla contestualità di operazioni potenzialmente confliggenti fra loro, soprattutto quando i lavoratori sono assunti in modo precario e/o da soggetti diversi, circostanza che rende più difficile assicurare la formazione e il coordinamento degli addetti (alcuni dei problemi a ciò connessi sono affrontati dall’artt. 26 TU, sugli obblighi connessi ai contratti d’appalto o somministrazione, così come dal d.p.r. n. 117/11, sulla sicurezza nei c.d. “spazi confinati”).
Sono di per sé rischiose tutte le operazioni caratterizzate da una forte meccanicizzazione, come la movimentazione delle merci, il relativo carico e scarico, così come quelle che comportano l’uso o il trasporto di materiali in varia misura pericolosi per l’uomo.
L’elevata presenza, nel frattempo, di personale a piedi, la naturale frammentazione del ciclo produttivo (che comporta il passaggio delle merci fra categorie diverse di lavoratori, dai camionisti, ai macchinisti, a coloro che si occupano di container, gru o imbarco), la compresenza di più cantieri, inclusi quelli di costruzione delle navi, rendono il contesto marittimo e portuale particolarmente complesso e, pertanto, naturale destinatario di attenzione specifica per garantire la salute e sicurezza dei lavoratori.
Peraltro, in generale, è opportuno ricordare che il numero degli incidenti mortali sul lavoro è ancora preoccupante. In Italia si tratta di circa mille persone all’anno.
Nei primi dieci mesi del 2020 si è verificato un incremento del 15%, in parte dovuto alla diffusione del virus Covid-19. La letalità della malattia ha ampiamente compensato, e superato, il calo fisiologico delle morti sul lavoro altrimenti attribuibile alle sospensioni di molte attività nella primavera 2020.
Il dato non sembra impressionare più di tanto l’opinione pubblica e si coniuga ad un contesto culturale nel quale trovare un’occupazione, anche momentanea – un “lavoretto” – sembra abbastanza, specialmente ai più giovani, ai quali si chiede, fra le righe, di non aver altro da rivendicare.
Per questo la commemorazione è stata rivolta in primo luogo agli studenti dell’Istituto tecnico superiore, prossimi al mondo del lavoro: perché non esistano vezzeggiativi in grado di offuscare la consapevolezza del proprio diritto alla salute e sicurezza sul lavoro.
Cinzia Carta è ricercatrice di Diritto del Lavoro presso il Dipartimento di Giurisprudenza.
In copertina: striscione ai funerali delle vittime della tragedia Mecnavi. Fonte: https://www.ravennawebtv.it/