Le felci dell'Orto botanico dell'Università di Genova: un viaggio lungo più di 200 anni
La sede centrale dell'Università di Genova cela al suo interno un tesoro botanico di biodiversità e di vita che attende solamente di essere scoperto: Elena Mora, laureata in Architettura del paesaggio all’Università di Genova, ci accompagna in una visita virtuale all’Orto botanico dell'Ateneo genovese di cui è curatrice.
Si accede all'Orto botanico, arrivando da Corso Dogali, attraverso un alto cancello, oppure da Via Balbi, la "via degli studenti", entrando dall'atrio monumentale di Balbi 5 - sede del Rettorato UniGe - dove troneggia la coppia di leoni colossali in marmo bianco scolpiti su disegno di Domenico Parodi a fine settecento, e salendo lo scalone in direzione dell'Albergo dei Poveri.
Cenni storici
Quasi 220 anni sono passati da quando nel 1803 Domenico Viviani cominciò a collezionarvi piante vive di interesse medicinale, alimentare, tessile e di quanto poteva servire per la didattica e la ricerca nell’ambito della botanica e della micologia. Ed era il 1852 quando Giuseppe De Notaris, tribolando tra difficoltà burocratiche e finanziarie (eh già!), scrisse al ministero che l’Orto botanico di Genova “…è ormai pieno di piante rare e utili non meno per lo insegnamento, quanto per le svariate loro applicazioni ad altri rami della scienza, […] Fra le altre esso possiede una collezione di ben 300 specie di felci, unica fin qui in Italia e per poco rivale delle collezioni più celebri d'oltremonte, quali sono quelle di Kew, Berlino, Lipsia, Amsterdam e Vienna”. Così, di direttore in direttore, di giardiniere in giardiniere, nonostante le difficoltà economiche, le guerre, la ricostruzione, gran parte di questa collezione è arrivata fino a noi.
Le felci: veri fossili viventi
Per cogliere i segreti della collezione più importante dell’Orto botanico dobbiamo varcare la porta della serra. Appena entrati, si riconosce l’odore delle fronde di felce: l’atmosfera è tiepida e satura di umidità, le fronde delle felci arboree nascondono il cielo. Forse nel Carbonifero, oltre 300 milioni di anni fa, camminare nel bosco era così. Basta un piccolo movimento delle fronde per portare immediatamente il pensiero ai dinosauri. Dentro la serra delle felci tropicali decine di specie vivono indisturbate, srotolando le fronde verso l’alto, come pastorali di vescovi, vessilli di una forma di vita antichissima. Le felci sono le piante vascolari più antiche ancora presenti sulla terra: possiamo considerarli veri fossili viventi. Caratteristica di questo antico ramo evolutivo è la mancanza di semi, un rompicapo che ha fatto arrovellare i botanici fino a metà del 1800: come era possibile che delle piante senza semi potessero riprodursi? L’introvabile fiore delle felci ha popolato miti e leggende per secoli. La sensazionale scoperta scientifica delle spore e del meccanismo di propagazione aprì nuove prospettive di ricerca che durante l’epoca vittoriana in Gran Bretagna provocò un discreto fervore sia tra i botanici che tra i collezionisti e gli appassionati: si chiamava “pteridomania” simile alla più famosa “febbre dei tulipani”. Evidentemente la bellezza delle fronde e delle spore, eleganti come pizzo e trapuntate di sporangi, non faceva sentire la mancanza dei fiori.
Entrando ci imbattiamo nella maestosa ed elegante Angiopteris evecta, una felce arborea con fronde lucide e lunghe alcuni metri: non a caso viene chiamata king fern che tradotta significa "felce reale". Per entrare passiamo sotto le sue splendide fronde senza piegare la testa. La sua famiglia arriva direttamente dal Paleozoico perciò è ritrovata spesso in forma di fossili. È rara nel suo habitat di origine (Asia e Oceania) ma ha trovato le condizioni ideali per diventare invasiva in America centrale dove per le popolazioni locali è diventata fonte di cibo e medicamenti.
La collezione di felci
La collezione di felci contiene molti generi e diverse specie. Il modo migliore per conoscerle, e riconoscerle, è esaminare le differenze che si osservano nelle forme delle fronde e degli sporangi. Gli sporangi ai nostri occhi sembrano puntini, generalmente bruni e disposti sulla pagina inferiore delle fronde, sono aggregati di spore. Le fronde, poi, si distinguono in base alla lamina, che può essere intera o divisa in diversi modi.
In serra abbiamo la possibilità di confrontare diverse specie di felci e trovare differenze e somiglianze. Un esempio di lamina intera lo troviamo nell’Asplenium nidus con le sue “foglie a spada” riunite in una grande rosetta che gli conferiscono un tocco esotico. Sulla pagina inferiore gli sporangi appaiono come linee sottili, disposte a pettine sulle nervature. Cresce sui rami degli alberi ma non è parassita: li usa solamente come supporto per guadagnarsi un posto più vicino al sole rispetto al terreno. Le piante che si comportano così si chiamano “epifite” e in serra ce ne sono molte. Può sembrare un comportamento bizzarro ma nelle foreste tropicali le piante epifite sono piuttosto comuni.
Le foglie divise invece presentano più segmenti come ad esempio quelle delle palme. In serra ci sono moltissime felci con fronde divise come la splendida Microlepia platyphylla. La fronda, così divisa, è definita “bipinnata” e in questo caso gli sporangi, riuniti in forme tondeggianti, sono disposti ai margini. Queste fronde eleganti nascono solitarie da un organo strisciante sotterraneo, chiamato rizoma, e possono raggiungere il metro di lunghezza. Un esempio più noto di felce con fronde divise è il capelvenere. Sotto questo nome comune si nascondono, in realtà, molte specie di Adiantum, tutti simili fra loro. Le fronde si scompongono in tanti segmenti sottili e delicati, che ripiegano il margine a protezione delle spore.
Oltre a essere un carattere di riconoscimento, le spore sono il mezzo per assicurare la propagazione della specie. A maturazione avvenuta, le spore si disperdono nell’ambiente e danno origine a una nuova felce. Eppure alcune felci, anziché affidarsi completamente a questa strategia, sono diventate vivipare: ciò vuol dire che le spore germinano direttamente sulle fronde dando vita ad altri individui perfettamente formati, vere e proprie piantine che crescono sulle fronde, sostentate dalla pianta madre, in attesa di essere rilasciati a terra diventando così autonomi.
Continuando la visita in serra, non possiamo che rimanere stupiti dalla bellezza delle polipodiacee trapuntate da gruppi di sporangi tondeggianti, ordinatamente disposti in file lungo le nervature.
Sono così caratteristici che è impossibile sbagliare! In serra ci sono alcune specie tropicali ma non è difficile trovare dei rappresentanti dello stesso genere passeggiando nei boschi nostrani, come, ad esempio, il Polypodium vulgare che in dialetto ligure è chiamato “reganissu” come la liquirizia perché il suo rizoma ha un sapore simile. Alcune polipodiacee sono famose piante medicinali, utilizzate per le proprietà antiinfiammatorie e antimicrobiche.
Infine, prima di uscire dalla serra, nella grande aiuola centrale, le vere protagoniste della collezione reclamano attenzione. Si tratta di maestosi esemplari di felci arboree del genere Cibotium che si trovano qui dall'800. Le loro foglie si stagliano sopra le nostre teste per tutto il tempo della visita. Gli esemplari di Cibotium hanno un fusto robusto e srotolano le loro fronde fino a 5 metri di lunghezza. La peluria che ricopre tronco e giovani foglie è uno stratagemma primordiale per proteggersi dalla disidratazione ma i nativi americani la raccoglievano e la utilizzavano similmente ai nostri batuffoli di cotone.
L'Orto botanico vi aspetta!
Ora possiamo uscire dalla serra delle felci tropicali e visitare le altre...
In questi giorni i cancelli dell’Orto botanico avrebbero dovuto aprirsi e accogliere le centinaia di persone che partecipano alle visite di primavera.
La stagione è iniziata e la vita scalpita: l’Orto è qui da più di 200 anni - sa aspettare - e aspetterà ancora gli amanti della botanica, gli appassionati e chiunque voglia tornare o venire a scoprirlo!