C’era una volta il futuro. Un libro e un viaggio nelle memorie del lavoro perduto

Ogni libro può essere un viaggio affascinante, e lo è soprattutto quando esplora il passato, ci insegna a riconoscerne le tracce e fa riaffiorare memorie apparentemente perdute.
È quanto accade se si decide di sfogliare le pagine del libro curato da Giovanna Rosso Del Brenna e dal giornalista Massimo Minella, frutto di una rinnovata collaborazione tra l’Università di Genova e la redazione genovese di Repubblica.
Lo scorso anno una prima iniziativa editoriale era stata dedicata all’Archeologia medievale della Liguria, mentre quest’anno il tema affrontato è quello dell’Archeologia industriale. Ne è scaturito un formidabile viaggio a tappe nel passato recente di Genova e del nostro territorio, tra l’Hennebique, il Gasometro, passando per darsene, fabbriche, ferriere e fonderie.
Il progetto ha previsto una prima fase, organizzata in quindici puntate, firmate da docenti, ricercatori, esperti e divulgatori e pubblicate con regolare cadenza sulle pagine genovesi di Repubblica. Terminata la prima fase, si è deciso di proporre un omaggio ai lettori liguri: le puntate del reportage sono state rielaborate dagli autori, riorganizzate dai due curatori e, ora, sono raccolte in un libro che giovedì 28 gennaio 2021 i lettori troveranno, in omaggio, allegato al quotidiano. Anche in questa occasione, l’Ateneo genovese ha messo sul campo preziose competenze, impegnandosi anche nella divulgazione e nella promozione dell’iniziativa.

Sestri Levante (ca. 1910)
Sestri Levante (ca. 1910). I primi capannoni e la ciminiera della Fabbrica Nazionale Tubi. La fabbrica prima dello sviluppo della città (MuSel - Sestri Levante, fondo Boccoleri)

Indubbiamente l’Archeologia industriale – almeno nel nostro Paese – è uno spazio di studio frequentato soprattutto da architetti e storici dell’arte. Come molti archeologi, mi occupo di storia della cultura materiale, mi interessano i saperi e le produzioni artigianali postclassiche. Affrontare una discussione su metodi, obbiettivi e ambiti d’interesse dell’Archeologia industriale potrebbe rivelarsi un percorso insidioso e sdrucciolevole. Mi è decisamente più agevole parlare di archeologia delle tracce, soffermarmi sulle trasformazioni del paesaggio del lavoro, o scrivere di memoria e di eredità culturale, senza comunque allontanarmi da uno degli obbiettivi centrali dell’iniziativa editoriale. Vorrei, quindi, provare ad offrire una diversa e possibile chiave di lettura del libro, dando voce a ricordi personali che la lettura fa indubbiamente riemergere, riproponendo le immagini e il racconto di un paesaggio del lavoro ormai consegnato alla memoria.

Tubifera
Fabbrica Italiana Tubi, il parco del rottame (MuSel - Sestri Levante, fondo Tagliati)

Posso iniziare così: c’era una volta il futuro, ed era nella vita di ognuno di noi. Per me, ancora bambino alla fine degli anni ’70, il futuro era il trasferimento in una Sestri Levante ancora industriale, con orari collettivi scanditi dalla sirena della Fabbrica Italiana Tubi, più semplicemente la “Tubifera”. Poco più lontano e in riva al mare c’erano i Cantieri, che erano la “fabbrica delle navi”. Un paesaggio costiero delimitato da Punta Baffe e dalla Punta Manara. In mezzo, ma al centro dell’inquadratura, spiaggia, case di pescatori, capannoni, gru maestose, grandi navi in costruzione, tutto a due passi da Renà e dallo scoglio dell’Asseu. A Riva Trigoso c’era anche il Retificio Stagnaro, fondato a inizi ‘900 da Antonio, detto “Titilin” e specializzato in reti da pesca, ma non solo. Nel dopoguerra aveva ampliato il suo raggio di azione, inviando i suoi prodotti nei paesi dell’America del Sud, in Australia e in Norvegia. Gli Stagnaro impegnavano soprattutto personale femminile e l’opificio era un volano di emancipazione e di indipendenza economica per le donne di Riva Trigoso. Il Retificio rivano ha terminato definitivamente la sua attività nel 1993, la sua memoria è consegnata soprattutto alle vivaci pagine dei social locali ed esistono piccoli archivi privati. Auspico che – un domani – il MuSel, ossia il Museo della Città di Sestri Levante, possa accogliere e conservare queste memorie, rendendole fruibili.

Potrei proseguire, scrivendo: c’era una volta un’acciaieria, dove mio padre Pietro – abbandonata la salsedine e il ponte di una nave – lavorava ai “recuperi siderurgici”, muovendosi nel “parco del rottame” e governando enormi magneti che recuperavano scorie ferrose. Era uno spazio pericoloso: le grandi casse delle scorie erano delle camere infuocate e potenzialmente esplosive, ma il riciclo dell’acciaio, per virtù del magnetismo delle scorie ferrose, era già il futuro, o così ci appariva alla fine degli anni ’70.

Ambrogio Fogar alla FIT nel 1977
Ambrogio Fogar invitato nel salone riunioni della Fabbrica Italiana Tubi, il 27 maggio 1977 (MuSel - Sestri Levante, fondo Tagliati)

Credo che ognuno di noi abbia memoria fotografica di spazi dimenticati, di momenti passati che appartengono ad un paesaggio del lavoro perduto. Uno spazio in cui si muovevano i nostri padri e – prima - si erano mossi i nostri nonni, talora ostile, faticoso, di lotta per i diritti e per il riconoscimento dei doveri. Nell’attimo della cena, a quel tempo rigorosa liturgia ligure di ricomposizione e rielaborazione familiare, i luoghi del lavoro diventavano la quinta ideale di racconti e aneddoti, in una mitopoiesi divertente e riconciliante. Ognuno degli operai che lavoravano con mio padre era protagonista di una singolare epopea eroica del lavoro.

Busta paga della Fabbrica Italiana Tubi
Busta paga della Fabbrica Italiana Tubi, con riproduzioni di stampe xilografiche di Eugenio Maria Raffo (MuSel - Sestri Levante, fondo Tagliati)

Da adulto, e in tempi più recenti, ho scoperto che la Tubifera e i Cantieri erano anche lo spazio in cui si muovevano poeti, artisti e creativi. Lo scrittore e poeta Giovanni Descalzo ci ha lasciato alcune bellissime descrizioni degli spazi del lavoro. Nel suo racconto, gli armadietti dell’officina della Tubifera contengono le cose più diverse: “in certuni si potevano trovare intere collezioni di riviste tecniche e di manuali di mestiere”, ma “qualcuno degli operai custodisce libri, talora insoliti”. In un armadietto “stavano ad inzupparsi d’olio: Della Repubblica di Alfieri, i dialoghi di Platone e certe edizioni mignon di opere astruse e difficili”. Una parete libera da macchinari, ma abitata da ragnatele era diventata per gli operai una galleria d’arte, del tutto eterogenea e allestita con il concorso di tutti. C’erano “il Giudizio Universale michelangiolesco sopra una tavola in quarto, certe sale di Pitti, il Bel San Giovanni, una visione del San Vitale ravennate e interni di basiliche”.

busta paga FIT
Busta paga della Fabbrica Italiana Tubi, con stampa di una xilografia di Eugenio Maria Raffo (MuSel - Sestri Levante, fondo Tagliati)

Il pittore/operaio Lino Bottazzi celebrava in grandi quadri l’acciaieria e la trafileria, quadri destinati ai circoli del dopolavoro. Eugenio Maria Raffo incideva nel legno di pero le sue xilografie, poi riprodotte sulle buste paga della FIT, mirabile esempio di un’educazione alle politiche antiinfortunistiche, comunicata tramite l’arte di un operaio/artista di fabbrica. Mario Dentone ha imparato a sognare oceani, navi a vela e a scrivere romanzi lavorando ai Cantieri di Riva Trigoso.

Lino Bottazzi, Fabbrica Italiana Tubi
Lino Bottazzi, Fabbrica Italiana Tubi, il paesaggio del lavoro (MuSel - Sestri Levante)

C’era una volta una visione collettiva e sociale del futuro. Potrei proseguire con altri esempi, sottraendoli alla memoria personale, ma lo spazio è tiranno ed è giusto chiudere tornando al libro.

Giovanna Rosso del Brenna, citando Eugenio Battisti, ci ricorda che il luogo del lavoro è la nostra eredità più recente e più drammatica. Un’eredità che ora possiamo percepire in tracce, che dobbiamo imparare a riconoscere, con cui dobbiamo riconciliarci e fare pace.
Il viaggio nell’Archeologia industriale della Liguria, curato da Massimo Minella e da Giovanna Rosso del Brenna, ci offre nuove conoscenze e ci stimola a leggere con nuovi occhi le tracce materiali di un passato recente, di luoghi simbolo a cui è possibile assegnare un futuro, salvandoli dall’oblio o dalla rimozione.

L'autore, Fabrizio Benente, è Prorettore alla Terza missione e Professore ordinario di Archeologia cristiana e medievale dell'Università di Genova.

di Fabrizio Benente