"Meticcio. L'opportunità della differenza" di Bruno Barba, edito da Effequ

"Meticcio. L'opportunità della differenza" di Bruno Barba, edito da Effequ

Meticcio. L'opportunità della differenza di Bruno Barba, edito da EffequChe l'antropologo e professore Bruno Barba sia un pensatore controcorrente non sono io a dirlo ma i suoi libri, i quali sono sempre un concentrato – saporito, gustoso, colorato – delle sue ricerche, dei suoi incontri, delle sue esperienze.

"Meticcio. L'opportunità della differenza", il libro a cui si riferisce questa recensione, pubblicato dalla casa editrice indipendente Effequ, è non solo un testo originale, ma addirittura temerario, e lo si intuisce già dal titolo. Infatti, in quest’epoca funesta, le cui vite sono prese in ostaggio da crisi di ogni tipo (economica, umanitaria, politica, identitaria, ecc.), mentre la fortezza-Europa innalza muri per fermare i flussi migratori e l'occidente intero – questo grande sconosciuto – vacilla con i suoi ideali, non deve essere certo facile sostenere, come fa il professore Barba nelle pagine di questo libro, che l'unico modo che le culture, e quindi le persone, le società, le civiltà, hanno per sopravvivere è quello di mescolarsi. In questi tempi di rigurgiti identitari e xenofobi, il "brasiliano per scelta" Barba ci intima: «Arrendetevi tutti, il meticcio arriverà. Anzi, è già tra noi: è dentro di noi». Proprio così, questo "manifesto meticcio" o, per meglio dire, "manifesto per il meticcio-che-noi-siamo e un meticciato a venire", ci suggerisce una strada diversa per la nostra sopravvivenza futura, quella di abbandonare velleitarie e stucchevoli ricerche di improbabili purezze identitarie e di fare i conti con quello che già ab origine siamo, ossia con il nostro essere meticci. Meticcia, bastarda, impura è l'origine, e sciocca, pretestuosa e pericolosa può diventare la ricerca e il progetto (immaginario, ma non per questo meno reale) di raggiungere presunte pure radici.

Chi è nato, cresciuto e vissuto in occidente, ci suggerisce Barba, è certamente più avvezzo a ragionare in termini dicotomici: bello/brutto, buono/cattivo, io/tu, puro/impuro; ora, come è evidente, questa modalità di ragionamento ha chiari limiti, lampanti soprattutto quando si tratta di indagare alcuni aspetti della vita umana, come le culture, le tradizioni, le identità. Le culture, ad esempio, quelle vive, quelle ricche, sono tali perché "cannibali", vale a dire capaci di mescolarsi, confondersi, esaltarsi con ciò che si presenta come diverso, straniero, altro; le tradizioni sono sempre il risultato di dinamiche (consce o inconsce non importa) sincretiche, storiche, che solo operazioni di astrazione possono farci percepire come fisse nel tempo, uniche e separate – così scrive Barba: «la tradizione è spesso il prodotto di una proiezione del presente sul passato, piuttosto che il prodotto di una comunità storica profonda»; l'identità di ognuno di noi, di ogni uomo e donna ad ogni latitudine, è sempre un in continua evoluzione, uno spazio di negoziazione con l'altro, un equilibrio metastabile ridiscusso continuamente dai processi antropopoietici a cui siamo sottoposti. Per Barba, allora, il meticcio che già siamo e che dobbiamo una volta per tutte capire di essere, corrisponde a «l'essere transculturale, uomo della nuova mobilità planetaria»; questo «è ciò che più ci rappresenta». Pertanto, per il nostro antropologo, il futuro – un futuro gioioso, ricco e di pace – passa necessariamente da un «rivoluzione meticcia», che è una «rivoluzione creativa», la quale può dare vita ad «cosmopolitismo umanista».
Il libro del professor Barba è un saggio di cui avevamo bisogno.

Mario Parretta
Laureato in Metodologie filosofiche
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