La retorica del pregiudizio. Un'Europa inclusiva è ancora possibile?
Il 9 maggio, giorno della Festa dell'Europa 2017, l'Aula Magna della Scuola di Scienze Umanistiche ha accolto un gruppo di filosofi e linguisti, storici del pensiero politico ed esperti di media provenienti dalla Francia e dalla Norvegia, dall'Islanda e dalla Polonia, dal Belgio e dalla Grecia. Insieme con i filosofi genovesi organizzatori del Convegno hanno discusso de The Rhetoric of Prejudice. Can Europe still be inclusive?
E' stata una scelta simbolica quella di aprire il Convegno nel giorno dell'Europa, a settantanni dai Trattati di Roma, una scelta che esprime la volontà di consolidare una rete europea di rapporti di confronto e di scambio culturale e scientifico, per affrontare temi “caldi” anche a livello sociale e politico. Con l'intento di uscire dai luoghi deputati alla ricerca per coinvolgere sempre di più i possibili fruitori di questo sapere nei diversi ambiti sociali, dalla scuola ai media, alle sedi decisionali.
La pluralità degli approcci ha permesso di discutere l'argomento specifico del Convegno, il pregiudizio, nelle sue diverse espressioni e nelle sue ricadute a livello relazionale, tra singoli e tra gruppi, fino al più ampio piano dei media e della politica.
Se Maria Zaleska dell'Università di Varsavia ha sottolineato l'imprescindibilità della retorica e la necessità di formulare una “buona retorica”, ricostruendone il quadro teorico e metodologico, Victor Ferry del Groupe de Rhetorique et Argumentation Linguistique di Bruxelles, erede dell'insegnamento di Chaim Perelman, ha raccontato come attraverso precise tecniche argomentative sia possibile educare all'empatia sostenitori di idee e di valori tra loro contrari, in particolare a livello di studenti medi e liceali. Carlo Penco dell’Università di Genova ha posto l'accento sul linguaggio, specificamente sul linguaggio non offensivo come pratica di autoeducazione: riprendendo le tesi di Flavio Baroncelli, ha messo in evidenza come il superamento delle distinzioni tra privato e pubblico nella comunicazione, specialmente nei media sociali, metta pericolosamente in forse questa funzione del linguaggio corretto e rispettoso. In altre parole la tecnologia ci sfida a elaborare ulteriori strumenti per il superamento dei pregiudizi negativi.
La potenzialità liberatoria del linguaggio nella stretta connessione tra ragione ed emozioni è stata l'oggetto dell'intervento di Paola de Cuzzani, dell'Università di Bergen. Con il suo intervento ci si è volti alla riflessione più propriamente filosofica: diversi relatori hanno discusso il rapporto tra ideologia, costruzione utopica e pregiudizio, la condizione dell'umanità priva di diritti, il pregiudizio nelle relazioni intersoggettive sino all'analisi delle logiche della violenza attraverso la costruzione del discorso interiore da parte di Pascal Nouvel dell'Università di Tours.
E' appena il caso di dire che il pregiudizio ha un forte ruolo nella comunicazione politica, come hanno ben sottolineato Giorgio Baruchello (Università di Akureyri) a proposito di Donald Trump e Alberto Giordano, Università di Genova, riguardo il linguaggio del populismo.
Il convegno si è concluso con un resoconto sull'influenza dei media nella lotta o nell'enfatizzazione del pregiudizio, in particolare nei confronti di un tema critico come quello dei rifugiati e dei migranti, in Grecia e in Italia.
La discussione è aperta e – si augurano i convenuti – potrà continuare nel più vasto ambito del progetto sui Discourses of Violence and Peaceful Persuasion: New and Past Rhetoric in Europe, che, in qualità di coordinatrice dell'incontro, ho presentato alla Cost Association dell'Unione Europea coinvolgendo partner da 15 paesi.
Mirella Pasini
Dipartimento di Antichità, Filosofia, Storia