Potere e conoscenza: imparare dall'emergenza Covid-19
Potere e conoscenza: l’emergenza Covid-19 e le ‘lezioni’ che i governi dovrebbero cogliere
“Sapere è potere” affermava Francis Bacon qualche secolo fa. Riletta nel bel mezzo di una pandemia, quest’affermazione ottimistica sulle capacità della scienza e della tecnica nel migliorare la condizione umana, potrebbe forse sembrarci frettolosa. Non tanto per mancanze della scienza, i cui progressi hanno ampiamente confermato l’ottimismo baconiano, quanto per la scarsa disposizione di chi esercita potere politico a prendere decisioni che siano informate e lungimiranti.
Questa crisi sta evidenziando in maniera plastica come potere e conoscenza non vadano sempre di pari passo. I governi spesso non hanno a disposizione delle tecnostrutture con un pensiero strategico adeguato a rispondere ad emergenze come quella che stiamo vivendo, oppure, come nel caso dell’Italia, le hanno disperse sul proprio territorio rendendo difficoltoso il coordinamento nazionale. Altre volte la conoscenza è ampiamente a disposizione, ma l’apprendimento è selettivo: si ascoltano le lezioni che “si vogliono ascoltare”.
La scelta inglese: spinta gentile o scelta incosciente
Questo sembra essere il caso dell’approccio con cui il governo britannico guidato da Boris Johnson ha inizialmente affrontato l’epidemia. Non conosciamo quali calcoli politici siano stati alla base di tale strategia, nel frattempo già abbondantemente rientrata nel solco delle misure che gli altri paesi europei avevano da giorni adottato. Sta di fatto che un ruolo lo ha giocato quella Nudge Unit che da due anni è stata chiamata a far parte dello staff dell’esecutivo britannico, con l’intenzione di disegnare politiche pubbliche che sostituiscano strumenti autoritativi con stimoli che spingano i cittadini a comportarsi in maniera coerente con finalità sociali. Un caso che mostra come il limite fra conoscenza scientifica e ideologia possa essere sottile: lo conferma la lettera-appello con cui un’associazione di behavioural scientists si è rivolta a Boris Johnson per sottolineare come alcuni dei presupposti per un approccio di nudging alla gestione dell’epidemia siano discutibili.
Gli Stati Uniti: il potere contro la conoscenza
Poi c’è il caso, ancor più estremo, in cui chi governa smantella delle tecnostrutture di cui dispone, come successo con l’Amministrazione Trump, che ha quasi immediatamente soppresso l’unità del National Security Council che era stata creata durante l’era Obama proprio con il compito di elaborare una strategia nazionale in caso di pandemia.
Virtuosi per scelta o per necessità?
Si dirà giustamente che ci sono anche esempi virtuosi, come quello della Corea del Sud o di Taiwan. Da molte parti vengono ripresi perché qui l’epidemia sembra essere stata contenuta con maggior successo, grazie ad una strategia in cui le misure restrittive sono state implementate non solo con strumenti di autorità, ma anche con il massiccio ricorso a test e la diffusione granulare e aperta dei dati.
Queste che osserviamo come migliori pratiche (o almeno ci sembrano tali) non sono solo frutto di maggiore lungimiranza della classe politica, o minore apprezzamento della privacy, ma anche, ed è il caso di Taiwan, una risposta obbligata che è figlia dell’esperienza dell’epidemia SARS nel 2003, che ha colto il paese impreparato e isolato dalla cooperazione internazionale per via del veto cinese all’interno dell’Organizzazione Mondiale per la Sanità.
La lezione da imparare
È plausibile che nella maggior parte dei casi i governi siano ciechi, che quando non lo sono facciano di tutto per non vedere e i rari casi di lungimiranza siano figli di contesti peculiari o esperienze traumatiche.
Tuttavia, un esercizio di ottimismo della volontà ci induce a sfruttare questa crisi per preparare le prossime che inevitabilmente ci saranno. La strada obbligata è quella di affiancare alle istituzioni di governo degli staff capaci di elaborare strategie di risposta ad emergenze di cui abbiamo esperienza, ma anche di quelle che ancora non abbiamo affrontato. E dare loro risorse adeguate ed un chiaro ruolo all’interno dei processi decisionali. Un tema che va posto sia a livello nazionale, che sul piano europeo.
Foto di copertina: Pete Linforth da Pixabay