Fu vera gloria? A 200 anni dalla morte di Napoleone

A due secoli dalla scomparsa della figura più nota e controversa della storia moderna e dopo innumerevoli contributi storiografici a lui dedicati, è ancora difficile dare una risposta al celebre interrogativo manzoniano.
Così come al tempo in cui il grande poeta lombardo scriveva la sua ode vi era ancora lo scontro fra chi condannava tutto l’operato di Napoleone Bonaparte, ritenendolo un “orco” ed un usurpatore, e chi invece lo difendeva fino a venerarlo come “genio” ed eroe del suo tempo, anche oggi non mancano le polemiche fra gli ammiratori a senso unico e chi lo accusa anacronisticamente di essere stato un “suprematista bianco” ed un negatore della parità di genere.
Quel che è certo è che nessuno, neppure il più risoluto fra i suoi detrattori, potrà negare l’importanza che questo personaggio ha avuto nella storia, tanto da dare il proprio nome a un’epoca pur breve (appena quindici anni), ma quantomai determinante per proiettare definitivamente l’Europa nella modernità.

Napoleone
J.-L. David, Napoleone Primo console al passo del Gran San Bernardo (1800)

Figlio dell’Antico Regime e della Rivoluzione 

La complessità del personaggio risulta subito se consideriamo le origini della sua ascesa: il giovane Buonaparte (solo più tardi francesizzò il suo cognome in “Bonaparte”) poté intraprendere la carriera militare come ufficiale, venendo ammesso alle scuole prima di Brienne e quindi di Parigi, solo grazie all’impegno del padre Carlo Maria, gentiluomo corso di limitate possibilità economiche con studi di diritto a Pisa, che riuscì ad ottenere dal Granduca di Toscana documenti attestanti la nobiltà del suo casato.
La fulminante ascesa che lo portò a raggiungere il grado di generale a 24 anni e il potere assoluto a 30 come Primo console è invece da attribuire, prima ancora che alle sue non comuni capacità e ad una certa dose di fortuna, alla Rivoluzione che scompaginò gli assetti della società del tempo, rendendo possibile ciò che fino a poco tempo prima sarebbe stato inimmaginabile: vedere il rampollo di una famiglia della piccola nobiltà di una delle regioni più periferiche e povere della Grande Nation deporre sovrani, imporre cambiamenti di regime e di sovranità, diventare arbitro dei destini di un intero continente.

Frontespizi edizioni francese e italiana del Codice Civile Napoleonico
Frontespizi delle edizioni francese (1807, a sinistra) e italiana (1807, a destra) del Codice civile napoleonico (1807)

Stratega, sovrano e legislatore 

Pur dovendo molto alla Rivoluzione, non la amò ed appena poté ne dichiarò la fine, dando vita ad un nuovo regime fondato su un abile compromesso fra il vecchio e il nuovo.
Facendo leva sul desiderio di ordine e stabilità di quella borghesia che era risultata la vera vincitrice delle sanguinose lotte che avevano caratterizzato il tormentato epilogo del secolo dei lumi, Napoleone riuscì ad imporre senza incontrare particolari ostacoli la sua dittatura militare, espressione di un nuovo dispotismo illuminato basato sull’efficienza amministrativa.
Tutto ciò fu reso possibile dal grande prestigio conquistato con le sue numerose vittorie in battaglia, dalla capacità organizzativa in ogni settore e dal talento nel saper scegliere i propri collaboratori guardando più alle qualità personali che all’estrazione sociale: se in campo militare dimostrò coi fatti che ogni semplice soldato poteva ambire con il proprio valore ai più alti gradi della sua Grande Armée, in campo civile elevò alle più importanti cariche dello Stato “uomini nuovi” che non ebbe difficoltà ad arruolare persino fra i non francesi di nascita. Fu questo, ad esempio, il caso del genovese Luigi Emanuele Corvetto (del quale pure ricorre quest’anno il bicentenario della morte) che, per probità e preparazione in ambito giuridico, il “grande corso” volle a Parigi come Consigliere di Stato. 

Forse anche per aver avuto in casa persone come il padre e il fratello Giuseppe che avevano studiato diritto, ebbe l’intuizione che il punto di partenza per una nuova Francia, coesa all’interno e forte all’esterno, doveva essere un nuovo testo legislativo in materia civile valevole per tutto il paese; essendo militare di formazione non ebbe remore ad intimare ai commissari un termine per la consegna del progetto (che infatti fu rispettato) e non si accontentò di essere spettatore dei lavori per la sua revisione e approvazione intervenendo spesso e personalmente alle sedute del Consiglio di Stato.
Fu così che il risultato di tali fatiche, in cui le conquiste più significative della Rivoluzione (con in testa il principio che vi doveva essere una legge uguale per tutti) furono conciliate con il meglio di quanto prodotto nei secoli precedenti dalle due anime (romanistica e consuetudinaria) della tradizione giuridica francese di Antico Regime, poté a ragione assumere successivamente alla sua promulgazione il titolo di Code Napoléon.
Ma il disegno di razionalizzazione ed unificazione del diritto francese non si arrestò certo alla sola disciplina dei rapporti fra i privati: il Codice civile fu infatti solo il primo (ancorché il più importante) di un intero corpo di leggi in forma di codice destinato a regolamentare in modo moderno tutti i più importanti settori del diritto sia privato che pubblico; un corpo normativo che, realizzato fra il 1804 e il 1810, diventerà diritto comune di larga parte dell’Europa continentale facendo così conoscere anche all’Italia, con un anticipo di mezzo secolo sull’unità politica (che Napoleone, pur potendo, non volle realizzare), i benefici di una sostanziale unità giuridica; un insieme di codici che continuerà ad essere guardato come modello, e di certo non solo nella penisola, anche dopo la caduta di chi ne era stato il promotore. 

Napoleone in esilio
Anonimo, Napoleone prigioniero nell'isola di Sant'Elena (1820 ca.)

La caduta e il mito 

Nei circa quindici anni di potere assoluto vissuti freneticamente in una continua situazione di belligeranza, sempre in movimento fra un campo di battaglia e qualche impegno istituzionale e costantemente in bilico fra l’apoteosi e la disfatta, non mancarono certo le ombre.
I troppi trionfi, ottenuti spesso in situazioni quasi disperate, alimentarono il mito dell’eroe invincibile ed infallibile e un culto della personalità che di certo il diretto interessato non scoraggiò.
Tutto ciò generò, da un lato la retorica della propaganda e l’innalzamento di monumenti al genio del secolo raffigurato spesso nelle vesti di imperatore romano (ne fu eretto uno anche a Genova in piazza Acquaverde, prontamente abbattuto nel 1814 e poi sostituito con quello dedicato a Cristoforo Colombo), ma da un altro la fallimentare conquista della Spagna, il controproducente “blocco continentale” e la disastrosa campagna di Russia che furono l’inizio della fine.
Relegato nella sperduta ed inospitale isola di S. Elena, dopo l’effimera illusione dei “cento giorni”, trascorse i suoi ultimi anni in una prigionia più dura sotto il profilo morale che sotto quello materiale, una prigionia che, con i suoi toni tragici ed eroici tramandati dal suo “Memoriale” destinato a diventare uno fra i massimi best seller del XIX secolo, consolidò quel mito di cui egli stesso era stato non involontario artefice. 

Apotesi di Napoleone
Stampa popolare pubblicata a Epinal dalla tipografia Pellerin rappresentante l'apoteosi di Napoleone dopo la morte (1840 ca.)

Lorenzo Sinisi è Docente di Storia del diritto medievale e moderno presso il Dipartimento di Giurisprudenza.
Immagine di copertina: F. Gerard, Napoleone I in abito da incoronazione (1804).

di Lorenzo Sinisi