La citazione è sintomo d’amore. Cantautori italiani e memoria letteraria

di Francesco Ciabattoni (ed. Carocci, Roma, 2016)

Libro di F- CiabattoniC’è stato, in Italia negli anni Settanta una sorta di neo “stil novo” ed è stato accompagnato dalle chitarre acustiche dei cosiddetti cantautori, parola che fa storcere il naso a molti di coloro che fanno o hanno fatto parte di questa “eletta schiera”. Un’ondata di cantanti colti, che hanno saputo interpretare, in chiavi diverse, una generazione estroversa, che dava del tu al mondo e sognava di cambiarlo. Via le banali canzoni d’amore con le rime scontate e dentro problemi sociali, politici, esistenziali con un linguaggio da un lato molto più colloquiale e meno formale, dall’altro però assai più dotto e innovativo.

Da allora la polemica se la canzone d’autore sia paragonabile o meno alla poesia, ha fatto versare fiumi di inchiostro, ma al di là di questa polemica, che lascia il tempo che trova, i cantautori hanno spesso giocato con i poeti e scrittori da loro letti e amati, citandoli, parafrasandoli, a volte in modo aperto, talvolta nascondendoli o camuffandoli. È questo che ci racconta Francesco Ciabattoni nel suo La citazione è sintomo d’amore, il cui titolo è già una citazione che rimanda al Battisti di Una donna per amico (nell’originale era “l’eccitazione”).

Un cammino alla scoperta dei richiami nascosti nei versi di Francesco Guccini, che evoca Thomas S. Eliot quando canta, a proposito di aprile, “il poeta che ti chiamò crudele” e poi con “nasce Cristo la tigre”. Da gran lettore qual è Guccini abbonda di citazioni da Khayyam a Kavafis, da Foscolo a Dante fino alla riproposizione de La più bella di Gozzano, ma anche altri autori non scherzano: Roberto Vecchioni in Samarcanda riprende una storia alla base di un dramma di Wiliam Somerset Maugham e di un romanzo di John O’Hara, che forse ha radici antiche nel talmud ebraico. Così come rende un sarcastico omaggio a Pessoa ne Le lettere d’amore. Non è immune dalle citazioni Francesco de Gregori, che addirittura ne Un guanto, si rifà a una serie di incisioni di Max Klinger. L’elenco è lungo e comprende De André che dopo aver musicato il S’i fossi foco di Cecco Angiolieri, ha dedicato un intero album a Edgar Lee Masters, Branduardi con Confessioni di un malandrino di Esenin e forse stupisce scoprire tra i “citanti” anche Claudio Baglioni, generalmente snobbato dagli amanti della canzone impegnata, che in La vita è adesso, che, nel ritrarre il proletariato delle periferie romane cita Pasolini e la Morante.


Un libro, quello di Ciabattoni, che, dopo le recenti polemiche sul Nobel per la letteratura a un cantautore, getta forse un po’ di acqua sul fuoco, ammorbidendo i confini e rivelando, come sempre è avvenuto, che ogni processo creativo spesso attinge da chi ha preceduto, rinnovando e mantenendo così in vita una tradizione. La canzone d’autore non poteva non confrontarsi e anche rendere omaggio ai poeti del passato. Citandoli, ha arricchito il proprio linguaggio e li ha riproposti in una chiave nuova, perché come affermava Gustav Mahler: «La tradizione è il culto del fuoco, non adorazione delle ceneri».

 

Marco Aime
Dipartimento di Scienze Politiche

 

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