Il perpetuo «Oblio» del Nuevo Tango
Un concerto e una chiacchierata con Luca Urciuolo, a cento anni dalla nascita di Astor Piazzolla
di Angela Zinno
Nella suggestiva cornice del Teatro dei Barbuti di Salerno, la sera di sabato 24 luglio si è omaggiato, per il centenario della sua nascita, Astor Pantaléon Piazzolla; argentino di Mar del Plata ma con radici italiane, condottiero ineluttabile di quella rivoluzione musicale che ha permesso al tango di non cristallizzarsi all’interno del canone di una tradizione popolare ma di sdoganarsi dalla condizione univoca di danza, connotandosi come un genere, un topos musicale da ascoltare, da vivere, da incarnare.
A farlo – con il concerto finale della rassegna Concerti d’Estate 2021, “Poemas de Tango” – il Neofonia Ensemble, storico quintetto napoletano, già vincitore alla fine degli anni Novanta del prestigioso Premio Internazionale intitolato al compositore argentino.
Undici brani e un bissato a ripercorrere e a celebrare la vita e l’opera compositiva tout court di uno dei più straordinari e complessi compositori del Novecento.
Il concerto
L’atmosfera è carica di suggestione già dal soundcheck; non è difficile che Poemas de Tango sia per molti, me compresa, il primo concerto dal vivo dopo un anno. I musicisti salgono sul palco, ne misurano la superficie con i propri passi; cercano cautamente la propria posizione: da sinistra, Arturo Sica al violino, Gianni Mola (direttore e arrangiatore) al pianoforte, al contrabbasso Camillo Chianese, alla chitarra elettrica Aldo Farias e Luca Urciuolo, al centro, con la sua fisarmonica (accordéon).
Ci sono accenni di temi, introduzioni, parole, frasi. Si accordano strumenti, si discute di frequenze, di equalizzazioni:
«equalizzare un monitor equivale ad assorbire il pregiudizio sul palco»
Poi all’improvviso una frase, semplice nella misura del formalismo verbale del tecnico del suono che organizza la fonica della platea e poi del palcoscenico, in risposta alle criticità espresse dai musicisti relativamente ai suoni dell’amplificazione, a palco:
«mi sto occupando prima del fuori; poi mi occuperò del dentro»
Il “dentro”. È singolare quanto la frase mi riporti ad una riflessione strettamente connessa al soggetto imperante nel contesto. Chi è Astor Piazzolla? Questo poeta del “dentro”, questo creatore lungimirante del Nuevo Tango, questo virtuoso del tedesco bandoneon che rimodula, rimette a fuoco il glossario melodico, ritmico e armonico di una sedimentata tradizione quale il tango?
Intanto posso ascoltarla, questa sua musica, attraverso la restituzione del Neofonia Ensemble; e dopo ascoltare e parlarne con Luca Urciuolo – pianista, fisarmonicista e compositore – che incarna proprio la voce strumentale dell’argentino.
Il concerto si apre senza presentazioni, dal silenzio carico di attesa di noi spettatori, mascherati, distanziati e tuttavia uniti dall’emozione già di per sé immensa, di poter essere lì, insieme e dallo stesso, di sacrale ingresso in palcoscenico dei musicisti. E da questo silenzio, Otoño Porteño. E Celos. E Violentango. Brani raccolti in coppia o in trio di cui Gianni Mola ci racconta di volta in volta, ci offre cenno di memoria per permetterci di incastonarli in un momento di vita, in una striatura del tempo di Piazzolla. I brani sono potenti. Gli interpreti offrono con impeto, equilibrio e un misto di tensione e abbandono mai incosciente.
Mi volto, a metà concerto, sulle note di Vuelvo al Sur. Il pubblico è immobile. Come sospeso. I volti di marmo, di un marmo denso, vivo. A quella vista penso che forse sia facile avallare una delle tante ipotesi etimologiche del termine tango, nello specifico quella che ripercorre la provenienza dal verbo latino tangere, ossia toccare. E lo sono. Tangenti. Questi brani. Queste sonorità, che toccano. Inesorabilmente.
Si procede. Un’ora e mezza di musica, interpretata, fruita, rimandata a noi, e da noi al palco. Si passa dalle atmosfere di Biyuya a Oblivion, a Esqualo, a La Milonga del Angel. Si chiude con Concierto para quinteto. I musicisti ringraziano ed escono in un applauso profondo. E noi tutti, pieni, siamo percorsi dallo stesso pensiero. Sono quasi certa che l’abbiamo aspettato in tanti, per tutta la durata del concerto. Ed eccoli tornare e offrirci l’inesorabile simbolo che rende a tutti familiare e intima l’equazione Tango-Piazzolla. E sorridiamo, in un sincrono perfetto. Nel silenzio di quella pausa di croma, che ci svela il levare di Libertango.
A parole con Luca Urciuolo
Ho letto la biografia di Piazzolla scritta da María Susana Azzi e Simon Collier1, si potrebbe parlarne ore. Piazzolla racconta dell’approccio al Nuevo Tango e sostiene che scrivere per un Quintetto sia più complesso che scrivere per un’intera orchestra; parla di contrappunto nella misura in cui non lavora soltanto su blocchi armonici, fa cenno ai fugati. Racconta delle contaminazioni newyorkesi della musica yiddish e della famosa figurazione ritmica 3 + 3 +2 presa appunto in prestito da quest’ultima. Qual è il tuo commento rispetto a questi assunti?
Luca Urciuolo: "L’espressione sul “quintetto” mi sembra abbastanza presumibile, non totalmente singolare. È come se avesse voluto rivendicare la sua capacità di fare le cose, ma allo stesso tempo la sua volontà di continuare a ricercarle, non in un ambito classico, quanto in un ambito strettamente sperimentale.
Rispetto alla figurazione ritmica, in effetti Piazzolla è un musicista reiterativo. Usa e trattiene delle cellule ben definite, sia ritmiche che armoniche. Ma penso che bisogni prima capire una cosa fondamentale. Il tango nasce nei bassifondi, nei porti. Il tango, da un punto di vista emotivo e quindi compositivo, è una dinamica pregna di strada, di vita vissuta, di sedimentazioni esperienziali. Spesso sottovalutiamo il fatto che quando un compositore lascia dei segni musicali, una letteratura, presto la si analizza, e analizzandola la si trasforma in canone. Ma il compositore che suona la propria musica, contiene già in sé la capacità – soprattutto in questa musica che apparentemente è tutta scritta ma che ha dei grossi margini di reinterpretazione da parte del compositore stesso – di operare delle variazioni prettamente musicali, anche nel ritmo. Quindi ci sono delle esplorazioni ritmiche che, almeno per quanto riguarda me, che mi occupo di composizione e improvvisazione e di ricerca, rappresentano delle costanti.
Piazzolla era un musicista itinerante, scriveva la maggior parte dei brani in tournée; era una persona in grado di mettere le emozioni in musica in tempo reale.
Ecco anche perché sostiene che la propria musica cambi perpetuamente e non prescinda dal senso dell’improvvisazione indotta dal flusso. In realtà la sua idea segue perfettamente ciò che io ritengo sia lo spirito essenziale della musica tout court; voglio dire, ingabbiare la musica in un numero definito e pari di battute reiterate, significa lasciar morire un determinato tipo di spontaneità musicale e soprattutto compositiva. Oggi noi viviamo una sorta di deriva musicale che ci restituisce canoni introduttivi, battute numerate, sviluppi e ritornelli che devono la propria costruzione a questo sistema, e che con grande probabilità non si rivelano esattamente creativi."
Negli ensemble di Piazzolla c’era sempre una grande quantità di fraseggi estemporanei, appunto di improvvisazioni giocate sulla linea melodica. Questa è probabilmente una delle più grandi sfide per un esecutore della sua musica che spesso deve guardare oltre la partitura scritta per coglierne i punti più profondi. Tu che lo interpreti, che ne pensi?
L.U.: "Stiamo parlando della base dell’approccio alla musica. Ciò che viene dato per straordinario, in realtà dovrebbe essere l’ordinario. Mi spiego. Non ci si dovrebbe meravigliare del fatto che all’interno dei frammenti musicali sussista la capacità del musicista di fare delle variazioni; questa è la consuetudine di tutta la musica. Ad esempio, se andiamo più indietro, nel periodo barocco, ciò che ti permetteva di varcare la soglia e di poter proseguire gli studi, era dimostrare la capacità quasi intrinseca di improvvisare su un basso dato o una melodia data, piuttosto che dimostrare di essere un buon esecutore di un brano già scritto. Questa cosa dovrebbe essere una consuetudine, anche oggi; una pertinenza naturale, come dire, obbligatoria per ogni musicista. Indipendentemente dal fatto di essere compositori o esecutori. Ed ecco che ciò che oggi noi osserviamo come un fenomeno straordinario, ossia la capacità improvvisativa, per me dovrebbe rappresentare una cosa ordinaria, consueta. La prassi, se si vuole fare, essere, musica.
Esiste una parte di letteratura di Piazzolla in cui non è possibile improvvisare melodicamente, perché le parti sono perfettamente incastrate, connesse. Ma quando la parte melodica è, come dire, invariabile, allora si improvvisa sul ritmo. O meglio, all’interno del ritmo. Piazzolla, ritmicamente suonava “a cavallo di battuta”. Inseriva gruppi irregolari all’interno del flusso binario del quattro quarti. Anticipava, connettendo tutto al senso musicale; e anticipando sapeva di potersi poi successivamente “allargare” per trovarsi puntuale all’appuntamento armonico. In questo modo il flusso armonico e il flusso ritmico si fondono.
Le variazioni melodiche sono possibili laddove il respiro è ampio. Ad esempio, il Concierto para Quinteto dopo la parte corale contrappuntata, sussistono degli allargamenti in cui tutto si tranquillizza e prendono voce le parti soliste; di fondo il flusso è costante, ritmo di tango; ebbene anche qui, si rallenta, sì, ma la danza non smette."
Entrando nel merito dello strumento, nel tuo caso la fisarmonica, si può dire che questa sia, oltre che il tratto distintivo, probabilmente la voce più imperante nel panorama musicale di Piazzolla?
L.U.: "In un certo senso si può dire che le composizioni che suonava Piazzolla, avendole anche scritte, evidentemente, gli offrivano (e offrono oggi agli interpreti) la possibilità di dominare le parti all’interno del più generale contrappunto. In realtà la sua scrittura è molto equilibrata."
Ma non si può escludere che nell’immaginario collettivo sia esattamente questo timbro a restituirci l’idea malinconica del tango…
L.U.: "«La musica dona fascino alla tristezza», questo lo diceva già Platone. Questo concetto Piazzolla l’ha espanso ai massimi livelli. E certamente in parte, la suggestione che questa musica ci offre noi la leghiamo al timbro del bandoneon. Vedi, si arriva a determinate soluzioni anche a seconda dello strumento che suoni. Ad esempio, se suono Piazzolla al pianoforte, il mio asse di interesse si sposta verso una dimensione più armonica; tutto diventa immaginazione del suono lungo; una liricità avvertita al di fuori ma che in parte è contenuta all’interno del mio immaginario. Uno strumento come la fisarmonica invece, te la svela tutta quella liricità; te la rende tutta, dall’inizio alla fine del più piccolo frammento; ed è qui che ti suggestiona."
Qual è la tua emozione più grande, in scena, quando suoni?
L.U.: "La mia emozione più grande, da musicista, resta quella che provo quando riesco ad “ascoltare” ciò che sto suonando, in tempo reale. Quando riesco a trasformarmi nell’ascoltatore di me stesso."
Sarebbe piaciuto a Piazzolla il concerto di stasera?
L.U.: "Ah beh non potrei proprio dirlo!"
A te è piaciuto?
L.U.: "Sì, in parte mi è piaciuto, in parte l’ho goduto, in parte sono stato ascoltatore di me stesso.
Mi sono sentito a casa. Intimamente, a casa mia."
Anche noi, ci siamo sentiti a casa tua. Grazie Luca.
1 María Susana Azzi, Simon Collier, Le Grand Tango: The Life and Music of Astor Piazzolla, New York: Oxford University Press, 2000.