Coltivare ortaggi freschi nello spazio con Space V
L’Italia è pioniera nell’approccio commerciale al volo spaziale abitato grazie alla missione organizzata dall’Aeronautica Militare e dall’ASI – Agenzia spaziale italiana con il volo di Walter Villadei sulla Stazione spaziale internazionale (ISS – International space station), tramite Axiom Space, una società statunitense molto attiva nell’ambito della space economy che pianifica, fra l’altro, nuove residenze spaziali acquisendo moduli di carico come i Cygnus, veicoli da rifornimento automatizzato.
Parlando di vivere nello spazio, inevitabilmente si deve parlare anche di alimentazione.
Già nell’ambito della missione Ax-3 di Axiom Space, partita il 18 gennaio 2024, ci sono a bordo della capsula spaziale circa 3 kg di fusilli Barilla, provenienti ovviamente dall’Italia, per il piacere degli astronauti e per sostenere la candidatura della cucina italiana a Patrimonio culturale immateriale dell’umanità UNESCO.
A dimostrazione che il futuro è già tra noi, più di quanto possiamo immaginare.
Abitare nello spazio e mangiare sano
In questa prospettiva di "abitare" presto lo spazio, e addirittura di colonizzare stabilmente la Luna con lo sviluppo del Programma Artemis promosso dalla NASA e dai suoi partner, l'alimentazione degli astronauti, basata anche sul consumo di vegetali freschi, è divenuta un tema di grande interesse. E in quest'ottica, la progettazione delle attività spaziali, che nel futuro prossimo saranno di lunga durata, deve contemplare anche la possibilità di prolungare la permanenza degli equipaggi in e fuori orbita terrestre per periodi superiori a quanto s'è fatto in passato.
Space V (dove V sta per vegetables), start-up e spin-off dell’Università di Genova, propone una soluzione innovativa per la coltivazione nello spazio: una serra brevettata chiamata Adaptive Vertical Farm (AVF), in grado di adattare il volume disponibile per le piante in base al loro livello di crescita, massimizzando l’efficienza in ambienti ristretti e riducendo il consumo energetico.
Perché una serra "adattiva"?
Sulla Terra le piante vengono coltivate in serre che hanno un volume adatto ad accogliere le piante stesse in tutte le fasi della loro crescita. Le serre verticali sono dotate di ripiani ad altezze fisse che accolgono le coltivazioni, dal seme alla raccolta.
La serra verticale di Space V adatta progressivamente il volume disponibile per ogni pianta in base al suo livello di crescita: un sistema meccatronico per il movimento automatico dei ripiani di coltivazione, gestito con algoritmi di Intelligenza Artificiale attraverso un Decision Support System (DSS), ottimizza l’altezza dello spazio tra i ripiani in base al preciso livello di crescita delle piante in ogni ciclo di produzione (come si può vedere qui).
Uno studio dell’Università di Genova ha dimostrato che la resa produttiva di una serra adattiva aumenta dell'108% rispetto a una serra verticale tradizionale, con un notevole risparmio energetico e lo sfruttamento quasi totale del volume disponibile. Se anche la parte della serra che contiene il substrato dell’apparato radicale fosse adattiva, il guadagno di resa potrebbe aumentare fino al 135%.
Space V è stata selezionata per l'investimento e il programma Tech Transfer di Galaxia, il Polo Nazionale di Trasferimento Tecnologico per l’aerospazio, nato su iniziativa del Fondo Tech Transfer di CDP Venture Capital insieme a Obloo Ventures. Tra i soci fondatori figurano Franco Malerba, primo astronauta italiano e laureato UniGe in Ingegneria elettronica, e Patrizia Bagnerini, docente UniGe di Analisi numerica presso il Dipartimento di ingegneria meccanica, energetica, gestionale e dei trasporti - DIME.