Europee 2024: cosa, come e perché nei contributi di 23 dottorande e dottorandi UniGe

Dottorandi e dottorande UniGe del dottorato nazionale in Studi europei hanno studiato diverse tematiche che sono al centro delle elezioni europee 2024.
Questi i loro contributi:

Il contributo di Daniela Preda, direttrice del Dipartimento di scienze politiche e internazionali

L’8 e il 9 giugno 2024 i cittadini europei sono chiamati a votare il loro Parlamento. Si tratta di un’elezione per tanti versi anomala: manca una legge elettorale europea; mancano liste transnazionali e partiti effettivamente europei con programmi realmente comuni, che possano farsi tramite tra i cittadini europei e l’azione di governo; le campagne elettorali e il dibattito politico-culturale si svolgono prevalentemente su temi nazionali. Una delle ragioni principali della deformazione in senso nazionale dell’appuntamento quinquennale tra i cittadini e l’Europa è dovuta al fatto che l’organo eletto con il voto popolare, e pertanto dotato della massima legittimazione democratica a livello europeo, non dispone ancora di tutti i poteri che discendono dal principio della sovranità popolare. Di conseguenza, il circuito vitale tra le attese della società civile e la rappresentanza politica non è ancora stabilito in maniera efficace.

Eppure, molta strada è stata percorsa dall’avvio delle prime comunità a oggi. Se gli autori dei primi trattati europei non diedero all’Assemblea, che dal 1962 prese il nome di Parlamento europeo, un ruolo importante tra le istituzioni comunitarie, assegnandole una funzione puramente consultiva e un potere di censura sul rapporto annuale dapprima dell’Alta Autorità poi della Commissione europea, progressivamente, procedendo con la politica dello step by step tipica dell’approccio monnetiano (ndr: Jean Monnet, 1888-1979), il Parlamento europeo ha cercato di aumentare il margine di manovra di cui disponeva. Inizialmente, ha ottenuto che la Commissione offrisse la sua consultazione facoltativa su tutte le sue proposte e che il Consiglio procedesse a tali consultazioni. In seguito, ha ottenuto un aumento dei suoi poteri di bilancio in relazione all'attuazione della politica agricola e alla creazione dell'unione doganale, che ha sollevato il problema del controllo politico delle risorse proprie della Comunità. Superata la soglia dell’unione doganale, i trattati finanziari del 1970 e del 1975 hanno consentito al Parlamento europeo di acquisire alcuni diritti di concertazione di bilancio insieme al Consiglio, nonché il diritto di rigetto totale del bilancio. Su proposta del ministro degli Esteri belga Pierre Harmel, il Parlamento avrebbe esercitato il controllo sul bilancio, che il Consiglio s’impegnava a non modificare. Terminata la fase transitoria, le spese sarebbero state divise tra obbligatorie e non obbligatorie: il Parlamento avrebbe avuto potere decisionale solo su queste ultime, circa il 16% del bilancio totale.

Alla fine degli anni Settanta, mentre il Parlamento europeo, in conflitto con il Consiglio e procedendo nella politica dei piccoli passi, cercava di estendere ulteriormente i suoi poteri attraverso un aumento delle cosiddette spese non obbligatorie, una svolta importante nella direzione di far partecipare i popoli alla costruzione europea, mediante la scelta dei loro rappresentanti, sarebbe avvenuta con la decisione, presa al Consiglio europeo di Roma presieduto da Aldo Moro nel dicembre 1975 a Palazzo Barberini, di indire le prime elezioni europee a suffragio diretto. Si trattò di una decisione controversa. L’elezione a suffragio universale era infatti giudicata da molti inutile e fors’anche controproducente, se non addirittura contraria ai più elementari principi democratici, dal momento che si trattava di eleggere un Parlamento in gran parte privo di poteri. A livello governativo, era diffuso il timore che le elezioni potessero modificare gli equilibri tra le istituzioni europee, preconizzando l’instaurazione progressiva di un regime incentrato sull’assemblea comunitaria, con la riduzione del Consiglio a una seconda Camera legislativa. Molti erano al contrario convinti che le elezioni europee avrebbero permesso una fortissima mobilitazione degli interessi e dei sentimenti favorevoli all’unità europea, trasformandoli da energie latenti in forze politiche vive e accelerando la spinta all’Unione con la richiesta di rafforzare i poteri del Parlamento europeo stesso.

Dal 7 al 10 giugno 1979, 180 milioni di cittadini degli allora nove paesi della Comunità erano per la prima volta chiamati alle urne per eleggere 410 deputati del PE, alla cui presidenza veniva eletta la francese Simone Veil. Se l’elezione diretta veniva identificata come espressione di una cittadinanza europea matura e responsabile, permaneva tuttavia la contraddizione tra l’importanza dell’Assemblea in termini di rappresentatività e di controllo democratico e la limitatezza dei poteri di fatto a essa devoluti. Dopo le elezioni del giugno 1979, il Parlamento eletto tuttavia dimostrava immediatamente una rinnovata volontà di iniziativa politica, volta in particolare a rafforzare il proprio ruolo nei confronti del Consiglio dei ministri. Su iniziativa del Club del Coccodrillo, creato da Altiero Spinelli a cui, non a caso, è intitolata una delle due ali dell'edificio che ospita il PE a Bruxelles, il Parlamento elaborava un progetto di trattato che istituiva l’Unione europea, approvato, a grande maggioranza, il 14 febbraio 1984.

Fallito questo tentativo costituente, è ripreso il cammino graduale di ampliamento dei poteri nell’ambito dei Trattati esistenti. L'Atto unico europeo, entrato in vigore nel 1987, ha rafforzato i poteri legislativi del Parlamento europeo attraverso l'istituzione di una procedura di cooperazione, che prevedeva una doppia lettura delle proposte legislative. Il Trattato di Maastricht sull'Unione europea ha conferito al Parlamento europeo un ampio potere legislativo e un potenziale diritto di veto, introducendo una procedura di codecisione con il Consiglio, anche se inizialmente solo per circa la metà della legislazione comunitaria, cioè in particolare per mercato interno, una parte della politica sociale, ricerca e nuovi campi di applicazione del Trattato quali le reti transeuropee, l’ambiente, la protezione del consumatore, l’istruzione, la cultura, la sanità.

La concessione del diritto al Parlamento di approvare la nomina della Commissione come Collegio (voto di investitura) e di approvare la scelta del Presidente della Commissione operata dal Consiglio europeo (che ha portato nel 2014 alla cosiddetta procedura "Spitzenkandidat") ha aperto la strada a una "parlamentarizzazione", seppur ancora incompleta, del sistema istituzionale dell'Unione europea. Questo diritto di investitura è stato completato dal riconoscimento esplicito del diritto del Parlamento di approvare la nomina del Presidente della Commissione, incorporato nel Trattato di Amsterdam nel 1997.

Se la procedura di codecisione, denominata procedura legislativa ordinaria nel Trattato di Lisbona, si applica attualmente a circa il 90% della legislazione dell'UE (tranne, per la maggior parte, la fiscalità, parte della politica sociale, la procura europea e alcuni atti relativi ai diritti fondamentali), è possibile tuttavia ancora oggi affermare che il deficit democratico è ancora presente e che il circuito vitale tra le attese dell’opinione pubblica e la rappresentanza politica non è ancora attivo.

Contrariamente a quanto avviene negli Stati, il Parlamento europeo non ha il potere di iniziativa legislativa. Esso può solo domandare alla Commissione europea di presentare una proposta (art. 225 TFUE).

Per quanto concerne la codecisione, essa ha sì ormai raggiunto il 90% degli atti, ma è condivisa con un Consiglio che statuisce in larga parte ancora all’unanimità e talora, pur potendo votare a maggioranza, decide all'unanimità perché gli Stati membri preferiscono ottenere il consenso di tutti piuttosto che mettere alcuni Stati in minoranza. Il problema si sposta quindi sulla decisione a maggioranza qualificata e non all’unanimità del Consiglio dei ministri. Il PE è escluso dalle decisioni riservate dai Trattati alle materie che richiedono l’unanimità. Inoltre, l'aumento delle decisioni "intergovernative" ha provocato un "effetto domino", estendendosi ad altre decisioni chiave prese o approvate dal Consiglio europeo. Il PE può chiedere al Consiglio di presentare delle proposte legislative, ma non può chiedere di deliberare entro un termine prefissato. Manca ancora una legge elettorale europea, che preveda il voto sulla base di liste transnazionali e di partiti effettivamente europei con programmi realmente comuni. I partiti sono ancora prevalentemente organizzati nel quadro nazionale e, sul piano europeo, faticano a esprimere un vero e proprio punto di vista europeo, frutto di elaborazioni politiche comuni.

Se i passi avanti compiuti sono molto significativi, i problemi aperti rimangono molti. Per questo, il Parlamento europeo continua a rimanere al centro di tutti i progetti di riforma dei Trattati.