L’Università di Genova ai tempi del Covid-19: le lezioni che abbiamo imparato
Aule uffici laboratori scale marciapiedi androni biblioteche bar… Luoghi in cui leggere e scrivere, studiare e insegnare. Luoghi di voci e silenzio, di incontro e di scambio, di colleghi, di gruppi di lavoro e gruppi di studio.
L'università è un mondo che forse più di altri vive di interazione sociale, e che ha dovuto imparare il distanziamento sociale. L’epidemia da SARS-CoV-2, che ha indotto nella vita di ciascuno profonde trasformazioni, non poteva che incidere altrettanto profondamente sulla comunità che studia e lavora all’Università di Genova.
Sugli studenti, per primi. Così la didattica si è trasformata: la presenza delle strutture interne dedicate all’innovazione didattica, all’e-learning, all’information technology (centri e persone il cui valore si è rivelato fondamentale) ha permesso di cambiare i luoghi e i modi dell’apprendimento e al contempo di mantenere gli obiettivi didattici. Metodologie che definivamo innovative sono rapidamente diventate pratica quotidiana: perciò lezioni e esami proseguiranno in remoto fino a settembre.
Con qualche rammarico innegabile. Sono online anche le tesi: l’emozione, la soddisfazione condivisa tra neolaureati e veterolaureati (i docenti…) ci sarà, ma sarà diverso.
Laboratori e biblioteche riapriranno presto, invece. L’attività di ricerca non si è fermata, ma per rimanere alla frontiera delle conoscenze la sperimentazione e la documentazione non possono essere sostituite.
Per chi alla didattica e alla ricerca affianca l’assistenza nelle strutture sanitarie convenzionate, le attività connesse alla cura non hanno avuto soste. Non solo medici: tutti i diversi professionisti della salute che afferiscono alla Scuola di Scienze Mediche e Farmaceutiche hanno continuato a svolgere i propri compiti professionali – alcuni dedicandosi proprio alla sicurezza degli studenti e dei lavoratori dell’Ateneo, tutti noi sperimentando nuove modalità organizzative e rimettendo in discussione le prassi a cui eravamo abituati.
Che cosa ci avrà insegnato questa esperienza. Poche parole chiave.
Cambiamento:
per fortuna il lavoro agile era già stato introdotto nella pubblica amministrazione – ma non si tratta semplicemente di traslocare il lavoro a casa. Strumenti informatici avanzati, efficaci e sicuri, e uno staff dedicato a implementarli tempestivamente, sono necessari ma non sufficienti. Affinché un’organizzazione complessa come l’Università di Genova, la più grande azienda pubblica in Liguria, risponda efficacemente alle regole dell’emergenza, serve rapidità (non fretta), rigore (non rigidità), attitudine al cambiamento (non improvvisazione).
E poiché sappiamo che vogliamo ritrovare quanto prima il valore aggiunto della relazione e della contiguità nel lavoro, sarà inevitabile aggiornare nuovamente le prassi. Non ci trasformeremo in università telematica, infatti. Per motivi di qualità, di legami con la ricerca e con l’attività assistenziale – e per motivi di equità. Non tutti i nostri studenti hanno le stesse risorse a disposizione: la diseguaglianza legata al digital divide è diventata più stridente in questo periodo di didattica in remoto – aggiungiamolo alle lezioni apprese.
Lavoro e sicurezza:
“per fortuna lavoro” era ed è la frase ricorrente con gli amici, prima di “sto bene”. Ci possiamo permettere (adotto la locuzione usata dal Magnifico Rettore in un suo messaggio) di chiudere temporaneamente gli accessi alle strutture, pur senza interrompere le attività istituzionali. Tuttavia, l’Università di Genova non può solo andare fiera di avere mantenuto al lavoro i propri dipendenti attraverso modalità alternative. Deve garantire sicurezza ai lavoratori e ai fruitori dei servizi forniti. La cultura della sicurezza sul lavoro non può che iniziare da noi, dall’Università, dal luogo in cui le conoscenze si sviluppano e si trasmettono. Abbiamo scoperto tutti che cosa sono i dispositivi di protezione individuale e come si usano – ebbene, voglio pensare che i nostri studenti sapranno insegnare e garantire le pratiche adeguate quando a loro volta avranno la responsabilità della salute di altre persone.
Comunità:
#UniGenonsiferma rischiava di essere solo un motto, retorico o velleitario. Abbiamo invece scoperto che la congiuntura sfavorevole, con i nuovi compiti a cui siamo stati chiamati, ha rappresentato un’occasione per riscoprire – o scoprire – l’esistenza di una comunità accademica, un insieme eterogeneo di persone unite da obiettivi e responsabilità comuni. E la comunità cittadina lo ha percepito, almeno da quanto ci testimonia il sostegno (anche economico) che aziende e privati cittadini stanno garantendo.
L’emergenza passerà, ma che cosa rimarrà dopo la crisi ancora non è scritto, e dipende da che cosa avremo imparato o dimenticato: l’esperienza attraversata dall’Università potrebbe essere emblematica. Dimostrare che l’attitudine al cambiamento e la responsabilità verso la comunità sono diventate un patrimonio di questo territorio sarà un esame importante.
Il testo è stato redatto dal prof. Emilio Di Maria per "Le rivoluzioni della fase 2", l'edizione di maggio 2020 della newsletter dell'associazione Le radici e le ali, e gentilmente concesso per la pubblicazione.