Esser(ci) o non esser(ci)

Conversazione con Andrea Porcheddu a un anno dal “punto e a capo”

di Angela Zinno*

È passato un anno da quando. 
Punteggio qui, dopo la congiunzione, a enfatizzare un po’ provocatoriamente il senso disturbante di un punto messo nel momento sbagliato.
A un anno circa dalla chiusura dei teatri, a un anno da questo punto inesorabile che ci ha portati “a capo” in una pagina che nessuno di noi conosceva, sono ancora di più le domande, le riflessioni, le emergenze. Le urgenze, anche. Se parliamo di teatro, parliamo di persone, e quindi l’urgenza è quasi intrinseca, e allargata al confine di una serie di aspetti convergenti e indivisibili, della società tutta.
Ne parlo con Andrea Porcheddu, giornalista, critico teatrale, scrittore. Persona di pensiero lungimirante. Ampio. Dramaturg del Teatro Nazionale di Genova, al fianco del direttore Davide Livermore. E amico del Falcone, dove lo aspettiamo presto, per un incontro con i nostri falchetti.

Teatro vuoto - UniGe
È passato un anno da quando.

Ti ringrazio tanto, già adesso, Andrea. Prima di cominciare.
E dunque, alla luce del discorso introduttivo che abbiamo fatto, che cosa pensi che ci manchi in realtà? Che cos’è che manca? Un anno fa, abbiamo chiuso il teatro o ancora di più, abbiamo aperto un vaso di pandora da cui ci sono saltati in faccia dubbi e problematiche che hanno messo in moto ragionamenti che forse, mai avremmo posto in essere?

Andrea Porcheddu: "Intanto si può dire questo, Angela, che comunque, del teatro persiste il senso intrinseco, sempre; anche quando purtroppo, non può aver luogo lo spettacolo. Esiste una teatralità talmente diffusa, talmente viva, talmente forte, che riesce a sopravvivere anzi si rilancia anche nel momento in cui le viene sottratto l’elemento principale, lo spettacolo. Adesso, da un anno a questa parte - anche meno di un anno, considerando sporadiche ma efficaci iniziative che si sono fatte largo tra mille difficoltà - siamo stati privati dello spettacolo ma questo non ha fatto venir meno il “Teatro”. Il teatro è nei libri, il teatro è nelle parole, il teatro, come dicevi tu prima giustamente, è nelle persone; in tutti coloro che hanno mantenuto inalterata la gioia, la forza, la partecipazione, il pensiero. Quando i teatri riapriranno ci sarà davvero un grande rifiorire di spettacoli e di proposte. Per cui questo teatro, come fosse “la Theatrica” come diceva Ugo di San Vittore, questo teatro esiste, vive, persiste; ha continuato ad esistere e ed esisterà sempre, perché è un elemento insito al nostro essere umani, intrinseco al nostro pensiero. 
E poi, in una altra sfera concettuale, affiancata e non dissimile, c’è lo spettacolo.
Ci manca lo spettacolo. Ma che cosa vuol dire, in realtà?
È uscito un libro di Byung-Chul Han, in cui si parla della scomparsa dei Riti. Questa è una riflessione interessante per chi come me è laico e si identifica in ulteriori ritualità. Il nostro rito è il teatro. E la mancanza di questo rito implica tante sfaccettature diverse, alcune di queste anche preoccupanti. Una riflessione sul tempo, sui rapporti sociali, una riflessione sui valori o anche sostanzialmente sulla democrazia. Del resto, è cosa nota che la democrazia sia nata col teatro e il teatro sia nato con la democrazia. È un gioco speculare, di costruzione reciproca, di riflessione e di interrogazione tra città e teatro. Allora è qui che comprendiamo cosa ci manca, se manca lo spettacolo. Mancano tutte quelle forme in cui – in questo senso – la democrazia si realizza, che sono quelle dell’agorà, della piazza, della polis, cioè tutte le forme di incontro e di discussione e riflessione condivisa. 
Penso che, per noi che ci occupiamo essenzialmente di queste realtà, sarà proprio questo il compito più sentito e difficile: riconquistare lo spettatore che si disabitua alla pratica condivisa.  Questo forse è il lato simbolico preoccupante e certamente implicherà tanta fatica e lavoro ulteriore. Non tanto quindi ritrovare il teatro in sé, perché il teatro è presente e vivo nelle persone che lo fanno; quanto ritrovare il rito della condivisione teatrale. Ci vorrà un po’ di coraggio da parte di tutti per rimettere in gioco gli spettatori."

Andrea Porcheddu - UniGe
Andrea Porcheddu

Certamente la questione del disabituarsi alla condivisione è cruciale. Per molti resta un fatto primario, la necessità di condivider(si); ma per altri forse, non è così scontato; eppure, parliamo di qualcosa che è alla base dello sviluppo culturale e anche emotivo, etico di una società. In un certo senso è come se il teatro avesse il compito di generare perennemente questa necessità nell’uomo. E giustamente tu parli di coraggio, di sforzo necessario per recuperare il senso del rito condiviso. Mi associo all’idea che ciò rappresenti un nodo veramente importante, anche esternamente all’idea sola, a questo punto, di cultura. Qui il confine si dilata, si espande…

A.P.: "Sì; in effetti, tutto sembra remare contro: ormai siamo abituati ad avere tutto in casa; libri, cibo; anche il teatro ci arriva in casa, in tv. Questo purtroppo sembra essere lo spirito verso cui sta andando la società. In realtà, la condivisione è l’elemento fondante dell’essere sociale. E il teatro ne rappresenta il primo senso, forse. La forza straordinaria del teatro è questa. Ed è per questo che tutti noi che ce ne occupiamo – rispetto allo spettatore senza il quale tutto ciò non esisterebbe – abbiamo il compito non solo di rilanciare la pratica del pensiero condiviso all’ interno del teatro, ma all’interno di questa nostra società che va in tutt’altra direzione. Perché se non lo fa il teatro, chi lo fa?
Penso a Genova, al grande lavoro che sta facendo Davide Livermore per riprendere contatto con gli artisti genovesi, liguri, con le istituzioni, con i cittadini; il teatro è da sempre una istituzione intermedia che si pone tra il cittadino e lo stato."

Teatro: punto e a capo - UniGe

Riflettevo, dopo aver visto la mostra al Ducale “Edipo: io contagio”, su qualcosa di cui si è poi, ampiamente discusso con i giovani del Falcone; e cioè su quanto questa operazione culturale sia stata in grado di restituire un senso che fosse situato ben oltre il comune fruire l’evento. Offrendo una visuale ampia sulla precisa collocazione del panorama emotivo, intrinseco all’epoca corale che stiamo attraversando, era come se il Teatro Nazionale dicesse… “Siamo qua! Siamo qua con voi…”

A.P.: "Assolutamente sì. Convergono in questa operazione una serie di urgenze. A partire dall’urgenza di dare lavoro, di far lavorare uomini e donne di teatro, una necessità impellente vista la situazione essenzialmente tragica.  Poi l’urgenza di cui tu parli, sicuramente, e anche il desiderio di esplorare una nuova forma creativa; Davide ha collocato gli attori in una teca, ha voluto restituire al senso dell’attore la connotazione di opera d’arte vivente."

A proposito di nuove forme, che cosa pensi di tutti i nuovi paradigmi di espressione artistica e teatrale, che si sono creati fisiologicamente, da un anno a questa parte?

A.P.: "Lo sai, per me il teatro non prescinde dalla condivisione in presenza! Tuttavia, tutte queste espressioni sono nate da una serie di esigenze; certamente l’aver avviato un confronto sistematico con delle tecnologie più aggiornate è un bene, per documentazione, memoria, riflessione sulla tecnologia stessa. Del resto, il teatro è sempre stato il luogo della téchne, a partire dall’invenzione delle prime macchine nel teatro greco; quindi, ben venga una nuova capacità di documentare e di comunicare il teatro. Penso che il web sia un validissimo strumento di comunicazione per il teatro."

Ho un’ultima domanda (per ora!!); la sparo, secca: nuovi stimoli, cambi di paradigma, adeguamenti, riflessioni di importante profondità. Il teatro, dunque, ci cambia di più se c’è o se non c’è?

A.P.: "Uhm. Dobbiamo capire cosa vuol dire “non c’è”. Sicuramente quando c’è ci cambia tanto, o meglio ci può cambiare tanto. Non è detto che accada ma quando avviene uno scarto, un cambiamento, una agnizione, allora il teatro svela tutta la sua straordinaria potenza. Come diceva Ennio Flaiano il teatro “illumina la nostra autobiografia […] ci spiega quello che siamo e quello che stiamo vivendo”. In effetti anche lo spettacolo più imperfetto può contenere un momento di verità che può dirmi qualcosa di me; magari sono momenti rari nella vita di uno spettatore, ma quando capitano sono forti, perché sono esattamente quei momenti che ci fanno capire il senso qualcosa di noi, del nostro stare al mondo, della vita e della morte. 
Per cui, ecco Angela, se c’è… è meglio."

(Sorrido) Andrea, grazie.


Angela Zinno è dottoranda all'Università di Genova in Digital Humanities – Arte, Spettacolo e Tecnologie Multimediali, regista e coordinatrice del "Laboratorio iF" del teatro universitario ilFalcone, vincitrice ex aequo della XIV° edizione del Premio Tragos – Concorso Europeo per il Teatro e la Drammaturgia (Sezione Saggi/Tesi di Laurea)

di Angela Zinno